Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale

Su libertà d’espressione e incidenza dei reati legati alla violenza di genere si accende il confronto politico. Ma serve anche approfondire la cultura collegata alla proposta Zan (che approderà in aula dal 27 luglio)

Com’era facilmente prevedibile, la presentazione della proposta di legge contro l’omofobia ha scatenato reazioni di catena. Tantissimi gli interventi di segno opposto e con toni urlati. Il rischio è quello di far scadere un dibattito importante e difficile in un confronto da stadio. La lunga teoria di argomenti giuridici e antropologici che si intrecciano dietro il tema omotransfobia tocca complessità che non possono certamente essere affrontate a colpi di slogan.

Così se appare un po’ ingenuo il trionfalismo mostrato da alcuni esponenti della maggioranza che hanno parlato di lavoro già concluso egregiamente, appare fuoriposto anche il grido d’allarme di coloro che vedono in questo testo solo un bavaglio insormontabile alla libertà d’espressione, tanto che – si dice – se venisse approvato in questi termini sarebbe addirittura impossibile leggere la Genesi (“Maschio e femmina li creò”) e alcuni brani di san Paolo. Non sarà così, naturalmente. Come, all’opposto, è impensabile che attorno ad alcuni punti chiave di questa proposta di legge non vengano sollevati distinguo, obiezioni e richieste di ulteriori approfondimenti in vista di un iter parlamentare che non s’annuncia certamente breve.

Per approfondire alcuni tra punti più discussi (la libertà d’espressione, i reati determinati dal genere e dall’orientamento, ecc.), anche alla luce del confronto avviato in questi giorni, leggi l’articolo di Luciano Moia su Avvenire

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