di Mariolina Ceriotti Migliarese

Oggi è venuta a trovarci l’ultima nipotina e dopo averla lasciata mi sono accorta di ripensare a lei con un senso di stupore: pensavo soprattutto che Sara è bella. Potrebbe sembrare una cosa ovvia o banale, ma forse non lo è perché Sara è nata con la sindrome di Down e di questi bambini non si dice mai che sono belli: talvolta si dice che sono carini malgrado la sindrome, si dice che la sindrome “si vede poco”, oppure che sono simpatici o allegri. Oggi invece ho pensato che Sara è bella e mi sono stupita per prima di questo pensiero. Mi sono chiesta perché sia stato questo l’aggettivo che associavo a lei, visto che la sua sindrome è evidente; ma forse oggi, tenendola un po’ di più con me, ho collocato per la prima volta la sindrome al posto giusto: ho capito davvero che avere la sindrome di Down è solo una delle sue caratteristiche, e non è neppure la più importante; avere la sindrome di Down non è “essere Down”.

Finalmente ho visto quello che dalla sua nascita intuivo senza riuscire a metterlo pienamente a fuoco: la mia nipotina è semplicemente una bambina, che sorride felice in risposta al suo papà, che si mostra entusiasta a tutti i sorrisi, che cerca di imitare le smorfie delle sorelle. Una bambina un po’ buffa con i capelli che le stanno sempre in disordine, che fa ancora fatica a stare seduta da sola, e che ha imparato a fare le pernacchie con la bocca.

Ho capito però anche un’altra cosa, che mi appare ora come un’evidenza: la bellezza di Sara è in assoluta continuità con l’amore autentico che riceve. Sara è una bambina che ha trovato il suo posto: un posto normale in una famiglia normale, con i suoi affanni, le sue liti, la sua allegria, le sue contraddizioni.

È inserita nel suo posto di quartogenita senza essere considerata speciale; la sua mamma e il suo papà le dedicano una giusta quantità di attenzioni, ma non le stanno sempre addosso; le sorelle e il fratellino la fanno ridere, ma quando serve la ignorano per pensare alle proprie cose: non c’è nessun senso di colpa intorno a lei, né delusione, né un eccesso di preoccupazione o di ansia. Non c’è bisogno di riservarle niente di diverso da quello che gli altri figli hanno trovato: un amore personale, a misura di quello che giorno dopo giorno serve a ciascuno per crescere.

Non tutti i bambini sono così fortunati, perché troppo spesso gli adulti proiettano su di loro i propri desideri e le proprie aspettative, caricandoli di attese ansiose. Sulla piccola Sara invece non gravano aspettative inutili: ogni suo progresso è una gioia, mentre ogni suo ritardo è accolto con una pazienza già messa in conto. Non c’è fretta intorno a lei, perché i tempi della sua crescita hanno una misura diversa, più personale: non c’è una tabella di marcia da rispettare nel vederla crescere.
La preoccupazione inevitabile provata alla sua nascita ha lasciato il posto in me a un sentimento diverso, molto simile alla riconoscenza: oggi posso dire che Sara è davvero un bel dono, anche se un dono imprevisto; non ho più paura per mio figlio e per la sua giovane famiglia, non penso più a ciò che questa nascita sembrava avere loro sottratto.

Penso che Sara abbia eliminato per sempre dentro di me e in tutti noi che le vogliamo bene la paura segreta e inconfessata di incontrare la differenza da vicino; penso che stare con lei ci stupirà e ci darà allegria. Penso alla vita con una gratitudine ancora più grande.

Fonte: Avvenire