di Ermes Ronchi
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. (…) Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri (…) Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? (…)
La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con il suo carico di violenza, ma anche con la forza della vita che continua (Amoris laetitia,1). La Bibbia è una biblioteca sull’arte e sulla fatica di amare, è il racconto dell’amore, vivo e potente, incarnato e quotidiano, visibile o segreto. Lo è anche nel Vangelo di oggi: storia di una crisi familiare, di un adolescente difficile, di due genitori che non riescono a capire che cosa ha in testa.
Figlio, perché ci hai fatto stare in angoscia? È il racconto di una famiglia che alterna giorni sereni tranquilli e altri drammatici, come accade in tutte le famiglie, specie con i figli adolescenti. Ma che sa fare buon uso delle crisi, attraverso un dialogo senza risentimenti e senza accuse. Figlio perché? L’interesse di Maria non è rivolto al rimprovero, non accusa, non giudica, non si deprime perché il figlio l’ha fatta soffrire, ma cerca di capire, di comprendere, di accogliere una diversità difficile.
Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? I nostri figli non sono nostri, appartengono al Signore, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non può, non deve strutturare la sua vita in funzione dei genitori. È come fermare la ruota della creazione.
Ma essi non compresero… e tuttavia nessun dramma o ricatto emotivo, nessuna chiusura del dialogo. Un figlio non è sempre comprensibile, ma è sempre abbracciabile.
Scesero insieme a Nazaret. Si riparte, anche se non tutto è chiaro; si persevera dentro l’eco di una crisi, meditando e custodendo nel cuore gesti, parole e domande finché un giorno non si dipani il filo d’oro che tutto illuminerà e legherà insieme.
Gesù partì con loro, tornò a casa e stava loro sottomesso. C’è incomprensione, c’è un dolore che pesa sul cuore, eppure Gesù torna con chi non lo capisce. E cresce dentro quella famiglia santa ma non perfetta, santa e limitata. Sono santi, sono profeti, eppure non si capiscono tra loro. E noi ci meravigliamo di non capirci, qualche volta, nelle nostre case? Tutte diversamente imperfette, ma tutte capaci di far crescere. Gesù lascia i maestri della Legge, va con Giuseppe e Maria, maestri di vita: al tempio Dio preferisce la casa, luogo del primo e più importante magistero, dove i figli imparano l’arte di essere felici: l’arte di amare. Lì Dio si incarna, mi sfiora, mi tocca; lo fa nel volto, nei gesti, nello sguardo di ognuno che mi vuole bene, e quando so dire loro: non avere paura, io ci sono e mi prenderò cura della tua felicità. È Lui regala gioia a chi produce amore.
Fonte: Avvenire
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