di Mariolina Ceriotti Migliarese

Per fare bene l’amore, come credo Dio lo abbia pensato, bisognerebbe avere insieme la vitalità del corpo e la saggezza del cuore. Due condizioni che molto raramente riescono a coincidere, e questo fa dell’amore un eterno desiderio, un’eterna tensione, un rincorrere qualcosa di cui percepiamo l’attrazione e il fascino ma che non arriviamo a possedere del tutto. Come una musica che sentiamo da lontano, un profumo che non riusciamo a riconoscere, un ricordo struggente.

Il corpo umano riceve la bellezza attraverso i sensi, che ci attirano con forza verso gli oggetti del nostro desiderio; ma ciò che desideriamo ci sfugge, perché non è sufficiente avere visto, annusato, ascoltato, toccato la bellezza per possederla pienamente. Il desiderio ci chiede di “incorporare” totalmente e con tutti i sensi l’oggetto per farlo nostro; ma incorporare l’oggetto lo vanifica.

Forse fare l’amore è un’esperienza così speciale perché tra tutte è la più sintetica, la più vicina al desiderio di possedere ogni aspetto dell’altro: la sua bellezza, il suo odore, il suo sapore, la pressione modulata del suo corpo, il suono della sua voce. I sensi ci guidano a un luogo del nostro essere che promette di essere finalmente il luogo di un vero incontro.

Ma senza la profondità di un cuore saggio, la vitalità della giovinezza non è sufficiente, e troppo spesso passiamo solo molto vicini uno all’altra, forse abbastanza vicini per tornare ancora e ancora a provare lo stesso desiderio. Talvolta non riusciamo a incontrarci perché siamo troppo giovani: il maschile e il femminile non si capiscono, si temono, si vergognano l’uno dell’altra. Da giovani abbiamo forti desideri ma poca pazienza, e il sesso è un linguaggio tutto da imparare: bisogna lasciar andare le idealizzazioni e accettare le leggi che sfuggono all’illusione dell’incontro perfetto.

Nella nostra ricerca talvolta incontriamo solo il corpo dell’altro, o forse incontriamo solo il nostro corpo a contatto col suo: cerchiamo un’uscita a tensioni fisiche, affettive, mentali; vorremmo venire accolti, vorremmo che qualcuno ci aiutasse a regolare le nostre emozioni con accogliente benevolenza. Vorremmo che il sesso fosse semplice, e forse lo banalizziamo. Talvolta incontriamo la nostra o l’altrui fragilità, che non possono essere coperte di parole ma solo taciute con rispetto e pazienza. Qualche volta incontriamo il piacere, che per essere pieno chiede di essere condiviso e di colorarsi di tenerezza per l’indicibile vulnerabilità dell’altro e per la nostra.

Ma se abbiamo un cuore saggio, oltre al piacere possiamo imparare a incontrare anche la gioia, che nasce quando non guardiamo solo a noi stessi e al nostro piacere e neppure solo al piacere dell’altro, ma nell’incontro lasciamo spazio a un elemento “terzo”: la fantasia inconscia di generare, che esprime sempre (anche quando non è il momento concreto per un figlio) la tensione creativa di una coppia che si ama. La possibilità concreta o simbolica di fecondarsi l’un l’altro rende fertile il rapporto d’amore, lo rende speciale, e non lo vanifica quando manca o finisce l’esperienza del piacere.

Il sesso è un dono che ci apre a un di più, a un non ancora, a un qualcosa d’altro. È sempre l’esperienza di un quasi: un quasi incontro, un quasi essere uno senza smarrire il nostro essere due. Per questo ha bisogno, per trovare il suo sapore più vero, di uno sguardo aperto al futuro: perché è l’apertura al futuro ciò che rende eterno l’amarsi.

Fonte: Avvenire