Lo psicologo olandese Jan Derksen con Maria Cristina Giongo

di Maria Cristina Giongo

Il narcisismo è il male del secolo. Le prime vittime? I bambini La colpa è dei genitori che non sanno più educare in modo coerente, per esempio rimanendo a lungo con i figli

Narcisismo è il termine usato per descrivere un tipo di personalità, un ‘rancore’ che sfocia in un’ossessiva rivincita nei confronti della vita, un disturbo mentale. In generale viene associato a chi contempla con esagerato compiacimento la propria persona, sino a isolarsi, disinteressarsi degli altri, a diventare egocentrico, vanitoso ad oltranza. A fondare relazioni basate sul controllo: e sul potere, per raggiungere il quale sovente vengono usate armi seduttrici e manipolatrici. Talvolta arrivando a bul-lizzare, al desiderio di ‘schiacciare’ il più debole. Come evitare di far crescere un figlio narcisista, in balia di una società sempre più spietata, esigente, spesso basata sull’aspetto esteriore che tende ad annullare quello interiore? L’ho chiesto ad un noto psicologo clinico olandese, il professor Jan Derksen, 69 anni, intervistandolo nel suo studio a Nijmegen, una bella, antica città, sede della prestigiosa università ‘Radboud’, dove ha insegnato per tanti anni psicodiagnostica, docente emerito in psicologia clinica. È inoltre specializzato in psicoterapia e psicodinamica, dottrine di cui, per 20 anni, è stato docente pure alla Vrije Universiteit di Brussel. Nel 2013 ha ottenuto il master in psicofarmacologia alla New Mexico State University di Las Cruces. Varie le pubblicazioni scien- tifiche e divulgative, fra cui un libro sul narcisismo. Collabora con autorevoli quotidiani e con la rivistaPsychologie magazine.

Professor Derksen, in un suo articolo ha scritto che ‘siamo diventati tutti, senza accorgercene, narcisisti’…
È vero. Infatti, per usare un linguaggio moderno definirei il narcisismo un’epidemia, una pandemia psicologica. Sicuramente meno appariscente, meno eclatante del Coronavirus. Ma proprio per questo difficile da combattere. Non ci sono vaccini per contrastarla. A partire dagli anni ’50, ’60, l’uomo è cambiato molto: sono caduti, ‘scaduti’ determinati valori, come quelli religiosi e tanti ideali… La nostra cultura in Europa, in Nord America, è diventata individualista. I modelli di educazione si sono modificati. Si è formata una nuova società egoista e poco empatica, dove contano soprattutto quanti ‘Like’ si ottengono sui social, su Instagram e Facebook, dove vogliamo continuamente essere visti, piuttosto che ascoltati e capiti. Tutto il giorno davanti ad una videocamera o al computer, invece di leggere un libro! Talvolta in preda a manie di grandezza, sete di fama, denaro, successo immediato.

Se un figlio diventa narcisista la responsabilità è dei genitori?
In gran parte sì, in quanto all’inizio della sua vita è completamente dipendente da loro, un prolungamento del solido albero da cui proviene, da cui trae nutrimento e riparo. L’infante si può viziare fin che si vuole per i primi sei mesi, poi è importante essere coerenti. Per esempio se piange di notte, e non è malato, si deve lasciarlo piangere. È un errore entrare nella sua camera, coccolarlo: in questo modo lo si premia per una condotta sbagliata, invece che per un atto buono. È fondamentale stabilire subito dei limiti e delle regole. In famiglia è il genitore che deve essere il capo, la figura protettiva ma anche autoritaria di riferimento. Dio ci ha creati: non siamo stati noi a creare Lui. Per cui il bambino non deve sentirsi Dio, perdendo a lungo andare il contatto con la realtà. I genitori debbono condizionare il suo comportamento sin dal momento in cui inizia a camminare, a sviluppare il senso del suo esistere, a guardarsi nello specchio, laddove incomincia la prima, normale, fase di narcisismo. A questo punto spetta proprio al suo educatore il compito di stabilire un equilibrio fra autostima ed eccessivo autocompiacimento. Infondendogli sicurezza in se stesso, stimolandolo a sviluppare la sua creatività, ma senza ansia di prestazione.

Lei parla di ‘condizionamento, autorità’: mi paiono concetti negativi, alla stregua di suggestionare, influenzare, sottomettere.
Condizionare in psicologia non è un termine negativo. È un modo di intervenire per il bene del figlio. Sin dalla nascita. Anzi… dal concepimento. Mia moglie ed io abbiamo cominciato a parlare dell’educazione dei nostri figli (che ora hanno 29, 30, 32 anni), ancor prima che decidessimo di metterli al mondo; scegliendo una linea comune di principi, insegnamento. E l’abbiamo sempre seguita! Facevamo la prima colazione tutti insieme, raccontando i piani della giornata. Ognuno di noi scriveva la sua storia, una specie di ‘narrazione di famiglia’, che poi condividevamo. Niente telefonini a tavola, (questo vale ovviamente anche per i genitori, che debbono dare il buon esempio). Abbiamo inculcato loro il senso dell’appartenenza ad una comunità dove si deve pensare agli altri, non solo a se stessi: ai vicini di casa, ai poveri, a chi soffre, al rispetto per l’ambiente. Infondere loro principi morali, etici, di altruismo è il primo input positivo del ruolo genitoriale, sono le fondamenta per costruire una solida architettura psichica.

E se non ascoltano, se si ribellano?
Vuol dire che non sono state poste le giuste basi in tempo, che la regia non è più nelle nostre mani. Possiamo paragonarci ad un motore a due cilindri. Il primo nasce dal narcisismo fine a se stesso, il secondo dal mondo che ci circonda. Per funzionare bisogna che entrambi comunichino fra di loro in modo corretto. Un bambino non ha bisogno di tante guide, come avviene quando lo si manda troppo presto all’asilo. Gliene bastano due: il padre e la madre. I quali dovrebbero rimanergli il più vicino possibile, per esempio chiedendo permessi speciali al lavoro. Anche nel mondo degli animali i cuccioli restano accanto alla madre; in Kenia i neonati riposano sul suo ventre. I primi mesi della loro vita i nostri figli hanno dormito nella nostra camera da letto, con noi. Non in una stanza a parte, come si usa fare adesso.

Ho letto che lei ha rivoluzionato la psicoanalisi olandese, con quale apporto?
Studiando a fondo l’importanza delle emozioni, dell’empatia, della disciplina, della religione, della filosofia nella psicologia, della cultura (ricordiamoci che siamo noi gli artefici della cultura). E, appunto, del ritorno a quei valori necessari persi da tempo. Per sviluppare un ‘narcisismo sano,’ concetto usato per la prima volta dal medico psicoanalista austriaco Paul Federn, uno degli allievi di Freud. In Olanda nessuno segue più le regole! Lo considero uno dei Paesi più narcisisti al mondo, dove ognuno fa quello che vuole, senza tener conto degli altri.

Fonte: Avvenire