di Maurizio Quilici, Presidente Istituto di studi sulla paternità

Il confronto, anche se aspro, con i figli non va cancellato in nome della pacificazione familiare, ma serve a conoscersi meglio Assente o troppo presente, dolce o severo, inutile o necessario, smarrito o sicuro di sé… Sul padre si scrive e si afferma di tutto. Vuol dire che finalmente ci si è accorti che il maschio è cambiato e che l’essere padre – parte essenziale della mascolinità – ha assunto caratteri rivoluzionari. Non è eccessivo il termine (spesso parlo e scrivo di “rivoluzione paterna”) perché per molti aspetti il padre attuale non ha riscontri nella storia dell’umanità.

Accorgersi che il padre di oggi è profondamente diverso da quello di cinquanta o sessant’anni fa è condizione necessaria ma non sufficiente per trarre le conseguenze e assegnargli un nuovo ruolo nella società e in famiglia. Così assistiamo spesso a stereotipi a senso invertito: casi in cui a soffrire dei pregiudizi di genere non è la donna, da secoli penalizzata, ma l’uomo, o meglio il padre. Anche questa è una novità storica. Un tema così complesso, così nuovo, così articolato (e così importante) merita di essere esaminato con continuità e precisione, seguito nella sua evoluzione e nelle sue trasfor-mazioni. E’ questo il compito che si sono prefissi l’Isp, Istituto di studi sulla paternità, e l’Università RomaTre-Dipartimento di Scienze della Formazione, che dopo aver pubblicato, lo scorso anno, il 1° Rapporto sulla paternità in Italia, il 19 marzo scorso hanno dato vita ad una Giornata di studi sulla paternità i cui contributi costituiranno il 2° Rapporto. Se dovessimo “disegnare” il padre che è emerso da questi lavori lo faremmo con un tratto leggero, sfumato. Perché la trasformazione cominciata mezzo secolo fa continua, è un processo costante, un continuo osservarsi, confrontarsi, modificarsi.

Non ci sono più i tratti marcati di quando padre e madre avevano ruoli ben definiti, chiesti (imposti) dalla società. E il padre è in continua evoluzione, alla ricerca di una fisionomia che è ancora di là da venire. Sul suo conto si chiariscono certi aspetti, altri ne emergono, a volte insospettati. Un esempio? Secondo lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, l’imperante narcisismo che oggi si esprime in molti modi – dalla dipendenza da Facebook, con la spasmodica ricerca di “amici” e di “like”, all’imperversare dei selfie – denuncia una fame di attenzione per colmare il vuoto lasciato dalla figura paterna.

Ecco, partiamo da qui: il padre è assente? Basta intenderci. Il padre, nella sua dimensione affettiva (e affettuosa) non è assente, anzi. Mai come oggi è stato presente nella vita dei figli, mai come oggi lo è stato da subito, ossia dalla nascita: sul totale dei parti naturali in Italia quasi l’80% dei padri assiste alla nascita e nei casi in cui al parto assiste una persona di fiducia questa persona è il padre nel 91,3% dei casi. Per non parlare dei numerosi papà che partecipano, assieme alle future mamme, ai corsi pre-parto. La loro presenza accanto al neonato è costante, tenera, affettuosa, abile nell’accudimento, segnando anche in questo una differenza abissale con il passato, quando il poppante era tabù per il genitore maschio.

È vero: utilizzano poco i congedi parentali (ma la percentuale aumenta leggermente ogni anno) però hanno delle scusanti che vanno dal sacrificio economico (il 30% della retribuzione fa sì che il congedo sia piuttosto appannaggio della madre, che patisce la differenza salariale rispetto all’uomo) all’atteggiamento di incomprensione, quando non di vero e proprio ostruzionismo, dei datori di lavoro. Anche qui è in atto un modesto ma costante miglioramento, sia nella mentalità delle aziende che nel welfare italiano (da quest’anno i giorni di permesso alla nascita per il padre sono quattro e sono obbligatori). Il figlio cresce e il padre continua ad essergli vicino: attento, empatico, partecipativo. A volte anche troppo, come quando entra in competizione con la madre e vuole assurgere a genitore “primario”. Un padre, insomma, senz’altro presente, che si propone come “padre amico”, “padre compagno”. E qui l’impalcatura comincia a scricchiolare e compare l’altra faccia del padre, il padre assente.

È assente il padre autoritario di una volta, e questo è un bene. Nessuno lo rimpiange. Ma è assente anche il padre autorevole, sostituito dal padreamico o padre-compagno. Sul padre-amico ci sono due scuole di pensiero: c’è chi è favorevole e chi è contrario. Io appartengo alla seconda scuola, quella di chi ritiene che bambini e ragazzi abbiano già un gran numero di amici e compagni e non abbiano bisogno di un altro amico. Il padre deve fare il padre e svolgere il suo ruolo, che è quello anzitutto educativo. Quest’ultimo prevede il limite, il controllo, quando necessario il divieto (mai la violenza, né fisica né verbale). Cose che non rientrano certo nel ruolo di amico – una relazione “orizzontale”, come amano dire gli psicologi, ossia paritaria – e necessitano invece di una relazione “verticale”, vale a dire gerarchica. Si può – e si dovrebbe – essere padri teneri, empatici, comprensivi, pronti al dialogo, ma… genitori, non amici. Il padre- amico non può trasformarsi per incanto, quando diventa necessario come avviene spesso durante l’adolescenza, in genitore autorevole, che dà non solo consigli ma anche direttive e traccia confini. Grazie al padre-amico è praticamente scomparso il conflitto generazionale, per secoli considerato fisiologico e funzionale al rapporto padre-figli. Anche qui due schieramenti: qualcuno saluta con favore la fine del conflitto, in nome di una pacificazione in famiglia; qualcun altro ne paventa le conseguenze.

Ma il conflitto non è necessariamente distruttivo. Esiste anche un conflitto costruttivo, che serve a conoscersi, confrontarsi, accertare i limiti reciproci, ritrovarsi. Lo scontro padre-figli (solitamente più aspro di quello madre-figli) rendeva entrambe le figure più forti e più consapevoli e quasi sempre si risolveva in un incontro. Sono davvero tanti gli aspetti che segnano i “nuovi padri”: dalla fisicità (abbiamo accennato al diverso rapporto con il neonato) all’accudimento (nessun padre, oggi, si trova imbarazzato se deve preparare una pappa o cambiare un pannolino) alla capacità di esprimere liberamente i propri sentimenti e le proprie emozioni. Luci, ma anche ombre, come la separazione e l’affidamento dei figli. Comunque sia, tra conquiste e sconfitte, fra dubbi (molti) e certezze (poche), fra entusiasmo e sfiducia i “nuovi padri” proseguono il loro cammino. Hanno scoperto la meravigliosa, commovente bellezza di fare il padre, cosa ben diversa dal semplice essere padre, e non torneranno indietro.

Fonte: Avvenire