A proposito della tanto discussa bozza del ddl “Misure di prevenzione e contrasto della violenza e della discriminazione per motivi legati al sesso al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere”, di don Fabio Magro, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale per la Famiglia e la Vita
Una questione più culturale, che giuridica. Nelle ultime settimane si sono moltiplicati i commenti, le opinioni, le contrapposizioni a riguardo dellabozza di ddl Zan su “Misure di prevenzione e contrasto della violenza e della discriminazione per motivi legati al sesso, al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere”. Un testo che farà ancora molto discutere, durante tutto l’iter che precederà le votazioni parlamentari. Già il 10 giugno la Presidenza della CEI era intervenuta con una nota nella quale prendeva chiaramente posizione nei confronti delle proposte di legge contro i reati di omotransfobia.
Sostanzialmente i vescovi dicevano che gli strumenti giuridici per tutelare le persone contro violenza e discriminazione ci sono già e che la via da percorrere per evitare atteggiamenti e condotte discriminatori è quella educativa. Le discussioni in atto mettono in luce diverse criticità importanti, tra le quali la mancanza di chiarezza sui termini utilizzati (sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere) – che richiamerebbero un’antropologia ancora in elaborazione – e la difficoltà a circoscrivere in modo definito (come richiede il diritto penale) cosa possa corrispondere a un atto di discriminazione fondato su questi elementi, o ancor più l’istigazione a compierli. La paura di molti è che soprattutto la punizione dell’istigazione, rimanendo non definita, possa essere utilizzata come una sorta di cavallo di Troia che limiterebbe la libertà di espressione.
Oltre agli aspetti prettamente giuridici, ci sono anche altre problematicità. Se venisse istituita, come auspicato, una giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, si cadrebbe in una categorizzazione delle fobie o delle discriminazioni che non sarebbe molto salutare. Vanno combattuti gli atteggiamenti fobici e discriminatori nei confronti di tutte le persone. Altrimenti dovremmo istituire tante giornate quante sono le categorie colpite: non basterebbe un anno intero. Con la conseguenza spiacevole e indesiderata, poi, che si incentiverebbe proprio ciò che va superato: guardare non alla persona in quanto tale, ma al fatto che è transessuale, bisessuale ecc. Una giornata così risulterebbe categorizzante, invece che integrante.
Anche l’elaborazione di una strategia nazionale per prevenire e contrastare le discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere risulta problematica. A chi verrebbe affidata? Con quale antropologia di riferimento? Chi verificherebbe che non venga utilizzata in modo ideologico, cosa che non sarebbe nuova? Troppi i punti interrogativi. Anche se si può riconoscere la bontà dell’intento, occorre prefigurare con scaltrezza gli usi distorti ai quali l’eventuale legge potrebbe prestarsi. Abbiamo a che fare con aspetti antropologici ancora aperti. Il laboratorio di riflessione è ancora in corso e richiederà tempo, perché quindi ostinarsi a voler fissare giuridicamente ciò che culturalmente è ancora così incerto e non condiviso?
Per punire la discriminazione e la violenza si possono trovare altre strade giuridiche, come già proposto da esperti del settore.
Per educare a non discriminare, forse, più che di giornate e di strategie nazionali abbiamo bisogno di lavorare in modo più ampio su una cultura dell’accoglienza, della stima e dell’integrazione dell’altro. Un atteggiamento virtuoso e un comportamento corretto non si imparano per obbligo di legge, ma per esperienza e imitazione. Atteggiamenti fobici e discriminatori nei confronti delle persone, di tutte le persone, sono sintomi di una malattia culturale più profonda. Se cerchiamo di tacitare il sintomo, senza curare la malattia, non avremo un ambiente umano più salutare nel quale vivere e ci troveremo poi con problemi molto più grandi da affrontare.
Fonte: Il Popolo, settimanale della diocesi di Concordia-Pordenone
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