di Gabriele Soliani
«Un mondo senza differenze fra i sessi scarica sulle donne tutta la responsabilità della vita. È questa la libertà che vogliamo?». Così la femminista americana Erika Bachiochi. È importante insegnare ai bambini e alle bambine che essere differenti come creature, ed accettare con gioia queste differenze, è un gran bene per la vita di ciascuno e per la società.
Sarebbe importante chiarire bene cosa vuol dire “parità di genere”, oggi così sbandierata. Che uomini e donne siano differenti è ovvio ma la confusione causata da certa terminologia non aiuta a capire. La differenza in assoluto, che non può essere contraddetta, rimarrà sempre la maternità (fisica e psicologica). Che evidenzia allo stesso modo la paternità.
La femminista americana Erika Bachiochi disse cinque anni fa, in piena epoca obamiana (cioè durante la presidenza di Obama): «Un mondo senza differenze fra i sessi scarica sulle donne tutta la responsabilità della vita. È questa la libertà che vogliamo?». «Quando ero una sostenitrice del diritto ad abortire», spiega la femminista atipica, «l’aborto mi sembrava fornire alle donne una risposta concreta alla responsabilità sproporzionata che il rapporto sessuale può metterci davanti». In verità, continua la donna, si inganna chi crede che l’aborto rappresenti un’arma contro la «disparità» per la quale «una donna rimane incinta e un uomo no». Perché cancellando la realtà della differenza sessuale non si fa che peggiorare le cose, «addossando tutta la responsabilità della cura – o del rifiuto – della vita del nascituro, un essere umano che si sta sviluppando, solo alla donna». Motivo per cui non si chiede più nulla «agli uomini, alla medicina e alla società in generale».
Ecco perché «l’aborto tradisce le donne» secondo l’avvocatessa. Perché «ci ha fatto credere che dovevamo diventare come gli uomini», ma la conseguenza è che «se siamo povere, sopraffatte o abbandonate dal padre del bambino, o se le spese mediche sono troppo alte per noi o per nostro figlio, la “responsabilità” sociale esige che ci sbarazziamo della nostra prole». Che dire poi di una cultura che, a parte «le nostre professioni», non rispetta «la capacità meravigliosa di aspettare una nuova vita umana?».
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