di Mariolina Ceriotti Migliarese
Ci sono molte cose di cui abbiamo paura e che ci provocano dolore: la morte, la separazione dalle persone che amiamo, la malattia, la perdita del lavoro e molto altro. Ma il dolore per ciò che di negativo accade non è sempre uguale, e la sua profondità non è sempre proporzionata alla causa oggettiva che lo ha provocato. Esiste infatti un dolore particolarmente intenso e difficile, ed è quello che potrei definire il dolore “cattivo”. Non perché possa esistere un dolore “buono”: il dolore, in sé, non è mai cosa buona e non può essere perciò una sorgente naturale di bene. Ma anche se non esiste un dolore buono, il dolore cattivo invece esiste, e provoca lacerazioni profonde talvolta molto difficili da rimarginare. Riflettevo su questo oggi, dopo l’incontro con una cara amica; mi aggiornava sul marito, invalido da anni per una malattia progressiva e senza possibilità di guarigione. La loro è una relazione delicata e complessa, perché fare l’infermiera del proprio uomo non è mai facile; amarlo davvero richiede di saper preservare dentro di sé anche la sua immagine positiva e il senso del suo valore.
La malattia cronica rappresenta perciò una condizione di estrema difficoltà; a mente fredda, una situazione che sembra il peggio che possa capitare in un matrimonio. Mi ha perciò molto colpito sentirle dire, prima di salutarci: «Malgrado tutto sono serena. Non farei cambio con mia sorella, che si sta separando; da quando hanno preso questa decisione sta malissimo: lei e il marito hanno iniziato una lotta feroce, come se volessero distruggersi». Queste parole sono un esempio del dolore cattivo: quello che porta con sé un carico insopportabile di rabbia e di impotenza; il dolore che troppo spesso accompagna lo strapparsi ormai così frequente delle relazioni d’amore.
Ma anche senza arrivare alle separazioni, tutti noi conosciamo il dolore cattivo, che è capace di insinuarsi in tutte le relazioni di coppia e in quelle tra genitori e figli; lo conosciamo perché nasce dalla nostra limitata capacità di amare, che ci porta a ferire anche le persone cui vogliamo più bene. Il dolore cattivo è la cosa peggiore che anch’io ho incontrato, nella vita come nella professione, e sono certa perciò che il male più vero è sempre il male dell’anima; il vero male è il dolore che si accompagna alla rabbia, che rende duro il cuore e che toglie la pace. È una spirale difficile da interrompere: non venire compresi e amati come desideriamo provoca dolore, il dolore rabbia, la rabbia cattiveria che genera nuove e più profonde ferite; se non impariamo a fermarci in tempo, la distanza provocata da un’incomprensione può arrivare talvolta a generare voragini che nessuna parola sarà poi in grado di colmare. Ferire le persone più vicine è facile, perché di loro conosciamo le vulnerabilità e i lati più segreti; l’affidamento reciproco nato dall’amore può trasformarsi così in un’arma potente, capace di colpire proprio là dove farà più male.
È dunque importante educarci al silenzio e all’attesa, per rendere meno incandescenti le parole che dal cuore arrivano alle labbra; è importante saper sospendere in tempo una lite, per tornare a parlarci quando avremo trovato la distanza giusta per vedere le cose anche con gli occhi dell’altro. È importante coltivare sempre nel cuore l’immagine buona di coloro che amiamo, la consapevolezza della loro preziosità, il senso del loro oggettivo valore: sarà più facile in questo modo tenere sempre lontano dalla nostra casa il dolore cattivo, anche nei momenti difficili.
Fonte: Avvenire