di Mariolina Ceriotti Migliarese
La maggior parte degli adolescenti ritiene che i genitori non siano capaci di ascoltare; la maggior parte dei genitori di adolescenti è convinta invece di saper ascoltare: caso mai sono i figli che non si aprono, che non vogliono il confronto, che sono “problematici”. Questa incomprensione è in parte persino necessaria: come diceva saggiamente Winnicott, l’adolescente ha anche bisogno di sentirsi incompreso, perché quando si viene “troppo” capiti dai propri genitori è difficile separarsi da loro per diventare grandi; sentirsi differenti è perciò il primo movimento verso la propria identità.
Bisogna imparare perciò ad accettare la fatica di queste incomprensioni: il lutto di un amore che non sembra più corrisposto e delle nostre buone intenzioni rimandate al mittente. Il lutto dei loro silenzi, delle loro chiusure, dei loro malumori, dei loro dispiaceri, da accettare senza farne un dramma. Nello stesso tempo, però, troppo spesso siamo noi a non saper trovare un modo costruttivo per ascoltarli, e una delle modalità difensivo-aggressive che soprattutto i padri assumono davanti alle difficoltà comunicative con i figli è l’ironia corrosiva.
È una tentazione facile, perché cercando di dare forma al proprio pensiero gli adolescenti hanno prese di posizione eccessive, affermazioni arroganti e argomentazioni balbettanti. Ci contraddicono per partito preso, sono irritanti nella loro falsa sicurezza, ci attaccano e credono di poterci giudicare. Non è raro allora che scatti nei padri l’istinto di far valere il proprio potere e la propria superiorità argomentativa: sermoni che i ragazzi detestano, o al contrario ironia “cattiva”, che serve a “rimetterli al loro posto.”
Perdiamo così la preziosa opportunità di seguire lo sviluppo del loro pensiero, di sapere cosa li interessa e li interroga. Di sapere, anche, cosa pensano davvero di noi, e perché. Non perché abbiano sempre ragione, ma perché hanno comunque alcune ragioni che meritano di essere ascoltate. Potremmo provare invece a incuriosirci, a fare domande che li incoraggino a proseguire, a cercare di esprimersi fino in fondo. Non domande provocatorie, per smascherare la fragilità delle loro argomentazioni, ma domande di vera curiosità, che li aiutino a mettere a fuoco meglio il loro pensiero. Le domande che faremmo al figlio di un amico: domande per capire cosa pensano davvero oggi i ragazzi e come vedono il mondo. Un ascolto così riconosce dignità e legittimità ai loro tentativi di farsi un’idea personale delle cose, e non richiede che siamo d’accordo; non si contrappone al fatto che abbiamo i nostri giudizi di valore sulle cose, né che sappiamo affermarli.
Ma nel momento (raro) in cui provano ad esprimersi, i nostri figli devono sentire che desideriamo soprattutto che non smettano di farsi domande e di cercare risposte: che siamo interessati a ciò che loro, in quel momento, stanno scoprendo della vita e stanno provando a condividere, senza ingabbiarli subito nelle nostre categorie di giusto/sbagliato. Ci appassiona vederli cercare, vederli usare il pensiero, l’intelligenza, la curiosità. Siamo fiduciosi che troveranno le loro risposte se sapranno sempre porsi domande. Avremo molti modi per far conoscere loro il nostro pensiero; se abbiamo risposte capaci di farci vivere bene non dobbiamo temere: i nostri figli le terranno nel cuore e le faranno proprie in ciò che è essenziale, quando il percorso dell’adolescenza sarà finito.
Fonte: Avvenire