di Mariolina Ceriotti Migliarese
La parola “nonni” indica semplicemente una posizione all’interno del percorso tra le generazioni: non possiamo dimenticare che si diventa nonni non per una scelta personale ma per l’apertura alla vita fatta dai nostri figli. Diventare nonni significa ricevere un dono grande, perché con i nuovi nati il tempo si apre al futuro e alla speranza che le nostre tracce continueranno a esistere anche al di là di noi. Dà gioia sapere che siamo riusciti a trasmettere ai figli, malgrado tutti i nostri errori, la disponibilità a generare: un desiderio di vita che è stato più forte di ogni timore.
Ma diventare nonni ci fa anche percepire in modo concreto un’accelerazione del tempo, con tutto ciò che questo significa: il baricentro si sposta sempre più sulle generazioni nuove, e iniziamo a sentire il rischio di una crescente irrilevanza. È il momento e l’occasione per un nuovo passo di crescita: il tempo per domandarci come possiamo ancora dare frutto, come possiamo essere nonni che testimoniano il valore della vita. Stiamo entrando in una fase nuova di cui prendere consapevolezza: una fase che, se impariamo a leggerla, può essere una vera e propria tappa di sviluppo e non, come segretamente temiamo, l’inizio di un percorso di involuzione. Se nell’età adulta il compito centrale era sviluppare la nostra capacità generativa, ora la generatività (che pure non si esaurisce mai) chiede di venire inserita in una competenza nuova: quella che Erikson chiama il raggiungimento della «integrità dell’io», e che contrappone all’atteggiamento che definisce di «disperazione».
Parlare di disperazione non significa qui fare riferimento alla patologia, ma indica quella condizione – non rara nell’invecchiamento – in cui vengono a mancare la speranza, la curiosità, l’apertura alla vita e al futuro: una minaccia molto concreta che, anche quando non dà segni eclatanti di sé, può diventare una compagnia inquietante e segreta, di cui è molto difficile condividere con altri la presenza. Lavorare sull’integrità dell’io chiede di ricordare che ogni tappa dello sviluppo umano ruota sempre intorno a due polarità fondamentali: quella dell’identità e quella della relazione.
Anche nell’età in cui diventiamo nonni dobbiamo dunque continuare a riflettere da un lato su noi stessi e, dall’altro, sulle nostre relazioni: quella di coppia, quella con i figli, quella con i nipoti. La riflessione su se stessi è centrale, e la parola-chiave del processo di crescita in questa fase è accettazione; per usare le parole di Erikson: «Accettazione del proprio e unico ciclo vitale, delle persone che in esso sono state significative, indipendentemente dal desiderio che fossero diverse; accettazione del fatto che ognuno è il responsabile della propria vita». Si invecchia sempre in continuità con ciò che siamo stati, secondo la nostra storia; ma siamo tutti e sempre persone in cammino: comunque sia andata finora, il punto per partire è sempre l’oggi, e niente è chiuso per sempre. Ci si ripiega con tristezza sul passato soprattutto se e quando si crede di non avere vissuto pienamente, di avere perso occasioni importanti, di essersi giocati male la vita. Diventando anziani è inevitabile guardare indietro e fare bilanci, ma dovremmo imparare a considerare la nostra vita in modo da vedere come tutto (ma proprio tutto) è stato un’occasione di crescita: se non abbiamo compreso e colto il senso provvidenziale di ogni evento, proprio oggi è il tempo giusto per rimediare.
Fonte: Avvenire