di Andrea Bozzolo, Teologo e rettore Università Pontificia Salesiana
Il rettore dell’Università Pontificia Salesiana: affettività e sessualità vanno ricomprese alla luce dei cambiamenti sociali e culturali. Cinque idee per rinnovare i percorsi di formazione
L’esigenza di non considerare affettività e sessualità in maniera isolata; quella di assumere il corpo come potenza simbolica; di rimettere al centro il rapporto uomo-donna; di considerare il carattere dinamico dell’identità di genere e, infine, di educare attraverso un approccio narrativo. Sono le cinque idee più importanti emerse dal convegno “Giovani e sessualità. Sfide, criteri e percorsi educativi?”, organizzato nei giorni scorsi dall’Università Pontificia salesiana, e su cui c’è stata ampia convergenza da parte di tutti gli esperti.
1) Il fenomeno affettivo e sessuale non può essere considerato in maniera isolata, come se non avesse a che fare con i cambiamenti sociali e culturali in cui siamo immersi. Se leggiamo i comportamenti affettivi e sessuali fuori del contesto, corriamo il rischio di giudicarli in modo semplicistico, dandone una lettura moralistica. Le profonde trasformazioni del mondo incidono oggi sulla mente (i significati dei gesti affettivi) e perfino sul corpo (un consistente anticipo della pubertà), riguardano le rappresentazioni sociali della sessualità e la mediazione pervasiva del digitale. Per questo, leggere l’affettività fuori dal contesto è davvero un’illusione. Da ciò si può trarre una prima osservazione dal punto di vista educativo: l’educazione affettiva e sessuale non può essere ridotta a qualche momento formativo isolato, ma deve rientrare in una visione integrale e in un percorso di crescita. Essa richiede interventi specifici e mirati, ma poi va integrata con l’accompagnamento dei ragazzi a fare gruppo, a impegnarsi nel servizio, a maturare un pensiero critico, a scoprire il valore della preghiera. Non si può eludere, inoltre, il fatto che la nostra società sia divenuta interculturale e interreligiosa. Questa complessità introduce ulteriori elementi di delicatezza e di attenzione, ma anche potenzialità ricche da valorizzare: ogni cultura ha qualcosa da dare e da ricevere. In questa prospettiva, sarebbe opportuno anche maturare un rapporto più sereno con le epoche che ci hanno preceduto. Pensare che il passato sia stato solo repressivo nei confronti della sessualità e che ora finalmente è arrivata l’epoca della liberazione – come a volte sentiamo dire – è davvero ingenuo. È saggio valorizzare le cose nuove che scopriamo, ed è altrettanto saggio ricordare la sapienza di chi ci ha preceduto, e magari trovare un modo nuovo di comunicarla.
2) Assumere il corpo non come dato grezzo, ma come “potenza simbolica”. Il corpo non può essere ridotto a mero organismo né la sessualità a un vuoto meccanismo. Sarebbe riduttivo guardare al corpo sessuato e pensare che il maschile e il femminile siano descritti unicamente dal dato organico. Ogni ragazzo e ogni ragazza daranno espressione alla potenza simbolica della loro mascolinità e femminilità in modi diversi, e questo ha certamente bisogno di accompagnamento educativo. D’altro canto, è ugualmente riduttivo pensare a un individuo come una volontà disincarnata, considerare il genere sradicato dal proprio corpo ed estraneo ad esso. Le due dimensioni sono inestricabili, costituiscono un intreccio simbolico in cui il corpo si fa portatore di significati e i vissuti liberi sono mediati dalla potenza semantica della carne. Due corpi non stanno vicini fra loro come due oggetti: instaurano rapporti, relazioni, entrano in intimità, sfiorano il Mistero. Questo è infatti il punto in cui il corpo entra in rapporto con il sacro. Quando parliamo del corpo simbolico siamo a un centimetro dal comprendere il corpo sacramentale. La fede ci insegna che la vita divina ci raggiunge senza scavalcare il corpo. Basti pensare all’Eucaristia: incontriamo il Signore crocifisso e risorto nel suo Corpo che sacramentalmente entra nel nostro corpo. Proprio perché non c’è puramente corpo biologico e non c’è libertà disincarnata, il senso del corpo viene riconosciuto entro la relazione con altri e le relazioni si costituiscono a partire dalla forma corporea della libertà. Di qui una conseguenza decisiva: non è sufficiente affidare l’interpretazione dell’umano al solo sapere delle scienze, o a quello della psiche o a quello dell’anima (filosofia o teologia). Le tre dimensioni sono così connesse tra loro da rendere impossibile affidarsi a uno solo di questi saperi, ma occorre che questi siano messi in dialogo fra loro.
3) Cogliere il rapporto uomo-donna come luogo di decifrazione dell’umano affettivo e sessuale. Maschile e femminile non si capiscono “in sè”, ma nella loro reciprocità, perché fin dal principio sono stati creati l’uno per l’altra. Ricordiamo l’immagine de “La riproduzione vietata” di Magritte: un uomo che guarda allo specchio e vede solo il retro di sé, perché c’è qualcosa di noi che ci viene restituito solo dallo sguardo degli altri. E in modo speciale questo avviene tra l’uomo e la donna: l’uomo capisce molto di sé quando vede sé stesso riflesso nello sguardo di una donna e viceversa. Questa dinamica ha senza dubbio anche una connotazione drammatica, dovuta al libero disporsi di due vite, alle molte forme che può assumere l’impatto tra due mondi. Ma è la dinamica dell’umano, in tutte le sue possibili declinazioni: coniugali, amicali, fraterne. Capiamo così che il senso degli affetti si comprende alla luce della loro destinazione. Essi non sono un’energia cieca, un puro istinto in cerca di soddisfazione, ma un’energia che si compie nel riferirsi ad altri in una logica generativa: “ i miei affetti sono destinati a te per essere, con te, generativi per altri”. È il contrario dall’autorealizzazione narcisistica che segue la logica “io uso te per stare bene con me stesso”.
4) Considerare il carattere dinamico dell’identità di genere. L’identità di genere non è mai una realtà statica e inerte. Essa è un dinamismo relazionale che comincia addirittura nella fase prenatale (la voce della mamma influisce sul battito del cuore del feto) e si realizza entro un processo che ha molte dimensioni: organica, affettiva, psicologica, relazionale, spirituale. Oggi capiamo sempre meglio che nel cammino di individuazione sessuale, gli stereotipi di genere rigidi bloccano perché non tengono conto variabili del singolo, mentre gli stereotipi indefiniti confondono, perché rinunciano a plasmare la simbolica maschile e femminile. Solo l’incontro con modelli maturi libera. Il carattere dinamico dell’identità di genere non è autoriferito, è etero-riferito, avviene nella permeabilità dei contatti che abbiamo ogni giorno, delle relazioni che viviamo. Molte volte è tornata nel Convegno l’attenzione alla dinamica del desiderio, mettendo in luce la legge che lo abita. Se il desiderio abbraccia la via relazionale della sua destinazione, si compie. Altrimenti implode (depressione) o esplode (aggressività). Questo ci fa capire che la legge morale non viene “dopo” l’analisi del desiderio, non viene da “fuori” come un ostacolo al libero sentire. Non dobbiamo fare l’errore di mettere la morale contro il desiderio, perché l’energia che abita il cuore umano porta in sé la firma del Creatore e, pur ferita dal peccato, sa “sentire” il gusto di ciò che è buono e vero. Ci vuole in ogni caso grande rispetto per ogni storia personale, per ogni percorso di individuazione (identità di genere) che ciascuno personalmente compie. Ogni storia è complessa e noi non vogliamo incontrare etichette ma persone. L’etichetta si affibbia quando viene a mancare l’ascolto.
5) Educare attraverso un approccio narrativo. Parlare di affettività e sessualità chiama in causa tutte queste dimensioni: è impegnativo, richiede un lavoro su di sé. Per questo, se la parola degli educatori è troppo semplice e non restituisce le sfumature, non pare credibile. Se la potenza simbolica del corpo viene riconosciuta dentro la trama delle relazioni, sarà la narrazione dei vissuti – e non solo lo studio della fisiologia dell’organismo o l’insegnamento astratto di regole di condotta – che aiuterà a collocare l’esperienza affettiva nella giusta prospettiva. Trovare le parole più belle per raccontare gli affetti è lo sforzo educativo che dobbiamo fare. La Bibbia è il grande codice che offre parole – tutte dell’uomo e tutte di Dio – per narrare storie affettive nel bene e nel male, mostrandole abitate da Dio. Fino a presentarci la storia dello Sposo e di Colei per cui ha dato la vita.
Fonte: Avvenire