di Roberta Vinerba
Grazie all’avventura di Gesù si risolve il dolore che ci attraversa durante le notti al capezzale di un figlio, di un marito, di chi invecchia privo di accompagnamento
«Cristo, risuscitato dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,9). Con l’Apostolo, anche io so di potermi appoggiare a questa certezza per lasciarmi illuminare dalla luce del Risorto. In questi giorni e mesi nei quali partecipo al dolore di persone a me tanto care, mesi e giorni nei quali come comunità parrocchiale siamo provati dal dolore, dalle malattie, dalle partenze dei “nostri”, ecco che forse, più del solito, mi giungono sicure e certe, rocciose e incrollabili, queste parole di San Paolo. Credo infatti che la vita la si giochi anche in relazione alla prospettiva dalla quale si guarda la Pasqua. Certo, noi viviamo nel tempo e la risurrezione è evento puntuale avvenuto più di duemila anni fa — sì, un fatto reale, non un mito —, per questo facciamo memoriale, non come memoria ma come evento compiuto che nell’oggi dispiega intatta la sua potenza come da sorgente sempre nuova e incontaminata.
Se Cristo è risorto una volta per tutte segnando in maniera irreversibile l’esistente come ri-creazione, pur tuttavia oggi risorge nella mia storia personale nell’accoglierlo come Signore dell’ « ora » presente. E questa « ora » io posso viverla posizionandomi dalla parte del Venerdì Santo attendendo la Pasqua — posizione corretta certamente; oppure posso stare dalla parte del Risorto e da Lui gettare lo sguardo in retrospettiva su quest’ « ora » , lasciare che in essa penetri la luce serena del Signore Risorto. La luce della Pasqua può essere faro che illumina il cammino e alimenta la speranza verso — dal Venerdì Santo alla notte della Risurrezione, attendendo con fede il Signore che viene, — ed anche, oppure, un faro che dall’escaton, dall’eternità risorgente del Signore, proietta la luce capace di comprendere e significare ogni sabato di silenzio e venerdì di passione. La storia risolta del mattino di Pasqua ci viene incontro non come alienazione, ma con quel materialismo del corpo del Signore glorioso che è sì, corpo trafitto, ma di trafitture che sono soglie di vita.
Questa Pasqua mi coglie così, proprio perché il Venerdì Santo mi pare di conoscerlo bene, nella mia e nelle storie di mia prossimità, ma anche nei volti dei disperati delle guerre, di tutte le guerre, dei morti in solitudine, dei miserabili di ogni luogo, la Pasqua acquista una concretezza particolare, una urgenza, oserei dire, una indispensabilità. Perché solo la luce rende possibile la conoscenza di quanto le tenebre possano essere profonde, solo una vita che ha attraversato gli inferi come quella del Risorto, è capace di vera compassione, sapendo l’abisso della morte e del peccato.
La Pasqua ci è, mi è, indispensabile. Cosa me ne faccio, cosa ce ne facciamo di un maestro di morale, seppure la più sublime, cosa ce ne facciamo di un maestro spirituale, seppur il più raffinato e conoscitore dell’animo umano, cosa ce ne facciamo di un Dio che cammina sì con noi, che diventa uno di noi, ma che non vince l’ultimo nemico? Senza la Pasqua nulla dell’avventura di Gesù risolve quel dolore che inevitabilmente ci attraversa, quel terrore che chi trascorre le notti al capezzale di un figlio, di un marito, che chi invecchia senza qualcuno accanto, che chi si appresta a compiere l’ultimo passaggio, conosce bene. Io credo, e lo credo perché la mia fede è radicata, abbarbicata, vorrei dire, nella testimonianza stupefatta di coloro che videro il Signore risorto, che parlarono, mangiarono, furono ammaestrati da lui, ma anche di quella infinita schiera di testimoni che, nei secoli, lo hanno mostrato con la loro stessa vita, tanti fino a versare per lui il proprio sangue. Di coloro che con la loro vita hanno cambiato, sempre in meglio, la storia. Posizionarmi dalla parte del Risorto rende perfino sensata l’«ora» del dolore. E anche là dove la vita scorre serena e senza scossoni, non per questo è immune da quell’ultimo scossone della morte.
Anzi, se questa non fosse stata sconfitta da Cristo ogni gioia della vita sarebbe beffarda e tragica. Ma Cristo è risuscitato per noi, e noi ne siamo testimoni e crediamo che come destino abbiamo la vita eterna, là dove nessuno è perduto perché ogni sepolcro sarà svuotato, ogni lacrima asciugata, ogni gioia non più precaria e ogni volto ritrovato.
Fonte: Avvenire