di Luciano Moia
Il mercato miliardario del porno non si ferma davanti a nulla e non si pone alcuna preoccupazione educativa. Ecco perché i nostri ragazzi sono a rischio. Ecco perché occorre intervenire subito
Minimizzare, distinguere, normalizzare. Quando parliamo di pornografia stiamo attenti a questi tre errori gravissimi che sono altrettanti trabocchetti in cui vorrebbero farci cascare i signori miliardari del porno.
Primo errore: perché minimizzare è vietato? Perché in questo mondo non c’è nulla di minimo, tutto è esagerato, iperbolico. Il porno è un impero del male dove ci sono 4,2 milioni di siti a livello mondiale che si contendono il bottino – cioè il 12% di tutto il web – per un totale di 420 milioni di pagine e un giro d’affari di 5 miliardi di dollari al mese. Dati per difetto, avvertono gli esperti, perché il sommerso è quasi superiore alle cifre ufficiali. Ma minimizzare è anche quell’atteggiamento morale che ci porta a far spallucce quando affrontiamo la questione etica collegata alla pornografia. “Che male c’è? I veri problemi sono altri”. Niente affatto. Dal punto di vista educativo questo è un “vero problema”. Abbiamo consegnato l’educazione sessuale dei nostri preadolescenti al porno via web e social. Già a 10, a 12 anni hanno tutto a portata di cellullare. E per loro è una scoperta che, dietro risatine e ammiccamenti, devasta il cuore e annebbia la conoscenza perché li convince che il sesso sia quella roba lì, quella ginnastica eccitante di cui conoscono ogni posizione e nessuna ragione. Pensano che un rapporto d’amore possa partire da quella virilità spropositata e violenta che può sottomettere in ogni modo la donna, umiliarla e farne carne da (finto) piacere. Le radici del maschilismo affondano anche in quelle immagini.
La violenza di genere si nutre anche di queste “lezioni” sciagurate. Non tutti i ragazzini reggono all’urto. Se come genitori non siamo in grado di fare fronte comune per dire no alla pornografia, o almeno per mostrare modelli educativi autentici e alternativi, stiamo aprendo la strada a rischi incalcolabili. Nei casi migliori avremo alimentato la scintilla perversa del bullismo, del sexting, della sextortions. Nei peggiori potremo assistere a forme di dipendenza con derive verso la psicosi, qualcosa di pericoloso e distruttivo come l’alcool e la droga. Si può minimizzare un problema così?
Allo stesso modo – e siamo al secondo punto – non si può distinguere tra porno e porno, tra pornografia e pedopornografia. “Se gli adulti sono consenzienti, tutto è lecito, no?”. No! È un altro inganno. Il confine è talmente labile da risultare impossibile tracciare una linea tra il presunto lecito e il certamente illecito. L’adescamento dei minori a scopo sessuale in rete è ormai un fatto assodato e ben noto.
Nella corsa a inseguire i desideri degli utenti, sempre in cerca di situazioni che possano stupire e attirare l’interesse, a rappresentare in modo esplicito e sempre più audace situazioni sessuali con perversioni e incroci sessuali di ogni tipo, l’industria del porno non si ferma di fronte a niente. Tanto meno ai minori. Tanto meno alle nostre preoccupazioni educative. Davanti a un nemico così potente, con mezzi e capacità di espansione straordinari, distinguere è vietato, occorre combattere con informazioni specifiche e strategie non improvvisate. E con formazione sempre più documentata e approfondita.
Terzo punto, normalizzare. Abbiamo cominciato a dare dignità alle pornoattrici e ai pornoattori che oggi partecipano a trasmissioni tv e vengono intervistati come fossero maitre à penser, senza naturalmente aver mai rinnegato il loro passato, anzi vantandosene come via di esperienza e di umanità. E si tratta di un altro inganno agli occhi dei nostri ragazzi. Dobbiamo avere il coraggio di spiegare loro che quelle persone sono soltanto vittime di un sistema perverso da cui non hanno saputo staccarsi. Che certamente anche per loro può aprirsi la strada del pentimento, ma l’immagine di uomo e di donna che hanno incarnato svilisce l’autentica virilità e femminilità, contribuisce a distorcere i desideri, le fantasie e i comportamenti dei ragazzi. E quindi, fermo restando il rispetto che si deve ad ogni persona, sono tutt’altro che modelli da indicare come esemplari e invidiabili perché non hanno contribuito a diffondere il bene, ma l’inganno, le deviazioni, il male.
E il male non si può normalizzare. Mai.
Fonte: Avvenire
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