di Luciano Moia
La garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti: le ragazze non hanno la percezione di essere vittime dei soprusi dei maschi. La prova? L’episodio del liceo romano e il nostro ultimo report
Violenza di genere, cultura del maschilismo, povertà educativa, esempio negativo dei social? Dove puntare il dito? Quando capitano episodi come quello del liceo Visconti di Roma, dove gli studenti maschi che si preparano alla maturità hanno affisso sulla porta della classe l’elenco delle compagne, minorenni comprese, con cui avrebbero avuto rapporti sessuali, gli interrogativi sono tanti e drammatici.
Ma tutti, in qualche modo si intrecciano alla responsabilità del mondo adulto e chiamano in causa, ciascuno per il proprio ruolo, genitori, insegnanti, catechisti, allenatori sportivi, educatori a vario titolo. “Mancano progetti strutturati di educazione all’affettività – osserva la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti – ed è sempre più urgente che questi progetti vengano avviati, con criteri adeguati all’età, già nell’infanzia. L’episodio di Roma, come tanti purtroppo capitati negli ultimi mesi, ci dice che esiste una grande confusione tra affettività e sessualità, come se la seconda avesse senso sganciata dalla prima. Ma ci dice anche un’altra cosa: la povertà educativa non sempre è legata a quella economica e sociale, quella che incontriamo nelle periferie degradate e in contesti di marginalità. Esiste, e fa comunque tanti danni, anche nelle famiglie che abitano i quartieri più “in” e mandano i figli nelle scuole più elitarie. I campanelli d’allarme ci sono sempre, ma spesso noi adulti non siamo abbastanza attrezzati per coglierli al momento giusto”.
La garante parla sulla base della sua consolidata esperienza professionale – è stata a lungo presidente del Tribunale per i minorenni di Trieste – ma anche alla luce del report diffuso qualche giorno fa, “I giovani e la violenza di genere. Dall’analisi dei dati alla percezione del fenomeno da parte delle giovani generazioni”, realizzato dal Servizio Analisi Criminale della Direzione centrale della polizia Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. Un report realizzato sulla base dei dati raccolti con il questionario “Violenza di genere: fai sentire la tua voce”, una consultazione tra adolescenti ospitata dal sito iopartecipo dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Un questionario al quale hanno risposto quasi 32mila adolescenti di età compresa tra i 14 e i 18 anni, cui si sono aggiunti oltre 300 studenti di alcuni licei di Roma.
Sono dati che, se da un lato rimandano l’idea di una più diffusa consapevolezza sul problema della violenza di genere e sulla natura di questo fenomeno odioso – si tratta di discriminazione per il 63% e di “grave violazione dei diritti umani” per il 20% dei ragazzi – dall’altro restituiscono un mondo ancora diviso a metà. Da una parte le ragazze, dall’altra i ragazzi. Quando si parla di sicurezza personale, per esempio, sono le ragazze a sentirsi minacciate (in media tre volte più dei maschi) e sono loro ad adottare comportamenti diversi rispetto a quelli abituali per abbassare il rischio della minaccia (evitare percorsi isolati, portare con sé lo spray antiaggressione, uscire sempre in compagnia, frequentare corsi di autodifesa).
Quasi tutti i ragazzi che hanno risposto al questionario conoscono il significato delle “relazioni tossiche”, un terzo ne ha sperimentato personalmente gli effetti, per esempio la pretesa da parte del partner di controllare lo smartphone o i profili social. Ma quasi sei ragazzi su dieci non hanno rifiutato la richiesta del partner. Il 29% non ha reagito, una percentuale simile ha dichiarato “di non aver nulla da nascondere”. Gesti scambiati per affetto e premura, che dimostrano “quanto lui tenga a me”. Solo un terzo ha dichiarato di aver provato “ansia o rabbia” di fronte alla prepotenza del partner.
Idee chiare anche sulle diverse manifestazioni di queste relazioni tossiche: quasi sei su dieci raccontano di un partner che non permette loro di uscire con persone che a lui/lei non piacciono, il 33 per cento pretende che il/la partner non indossi determinati capi di abbigliamento, il 14 pretende di restringere il campo delle persone con cui uscire ai propri amici. “In queste risposte – osserva ancora Carla Garlatti – non si coglie però la percezione, da parte soprattutto delle ragazze, di essere vittime di un sopruso. Lo stesso atteggiamento teso a minimizzare, emerso dalle parole di alcune ragazze protagoniste del recente episodio al liceo romano. Quasi che queste giovanissime non fossero state educate a pretendere rispetto dai loro compagni maschi”. E infatti, tornando al questionario, fa riflettere il fatto che solo il 15% delle ragazze vittime di episodi di violenza psicologica, abbia deciso di denunciare l’accaduto. Sfiducia nelle forze di polizia? “No – spiega ancora la garante – mancata consapevolezza di essere vittime”.
Eppure, dal questionario emerge la convinzione che il problema sia grave e che sia assolutamente urgente esserne informati. Come uscirne? I ragazzi sottolineano l’importanza dell’assistenza psicologica antiviolenza (34%) e soprattutto di “educare al rispetto delle donne nel percorso scolastico” (39%). Mentre ritengono quasi irrilevante l’obiettivo di “formare i genitori” (4%). Un dato che, visto dalla parte della famiglia, lascia un po’ d’amaro in bocca. Come se le indicazioni di mamme e papà fossero irrilevanti per costruire uno sguardo consapevole e sereno sul problema della violenza di genere.
Al di là di quest’ultima sottolineatura, il questionario offre qualche motivo di conforto sulla consapevolezza degli adolescenti riguardo alla violenza di genere, ma apre anche a considerazioni meno positive sulla reale corretta percezione del fenomeno, sulla diversità di sguardo tra maschi e femmine, sulla persistenza di alcuni modelli relazionali sbilanciati che appaiono difficili da sradicare. “Qualche passo avanti l’abbiamo fatto – conclude Carla Garlatti – ma la strada è ancora lunga e non dobbiamo stancarci di indicare nell’educazione il criterio decisivo per superare atteggiamenti negativi nelle relazioni interpersonali e nella convivenza sociale”.
Fonte: Avvenire