di Luciano Moia

Un’indagine Fondazione Età Grande con Ipsos fotografa l’impegno delle diocesi verso la terza età. Tra difficoltà e stereotipi il cambiamento è avviato. Ecco come completare la svolta

Anziani, un futuro tutto da costruire. Anche da parte della Chiesa. Nonostante l’impegno di papa Francesco. Nonostante le sue 18 catechesi sul tema della vecchiaia. Nonostante l’invenzione di un evento di alto valore simbolico, come la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani. Nonostante l’età media dei fedeli sempre più elevata. Ecco, nonostante tutto questo sulla pastorale per la terza – e quarta – età, il dato ricorrente nelle diocesi italiane si chiama confusione e incertezza. Innanzitutto, sul dato culturale collegato alla condizione degli anziani che viene associato troppo spesso alla solitudine, alla non autosufficienza, all’assistenza sanitaria. Insomma, siamo ancora fermi alla senectus est ipsa morbus, come spiegava lo scrittore latino Terenzio. Ma intanto sono passati duemila anni e, soprattutto in un’epoca in cui le persone con i capelli grigi rappresentano un quarto della popolazione italiana, sarebbe necessario un salto di qualità culturale. E pastorale. Ma come farlo se non conosciamo lo stato dell’arte? È la domanda da cui è partita la Fondazione Età Grande promossa dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, che nell’autunno dello scorso anno ha commissionato alla Ipsos una ricerca sulla cura pastorale rivolta agli anziani nelle diocesi italiane.

«Volevamo indagare quale fosse la ricezione del magistero di papa Francesco sugli anziani perché – spiega l’arcivescovo Paglia che è anche presidente della Pontificia accademia per la vita e presiede tra l’altro la commissione governativa per la riforma dell’assistenza agli anziani – il prolungamento degli anni di vita che fa dell’Italia il secondo Paese più longevo al mondo, insieme alla drastica riduzione delle nascite, impongono una visione nuova sulla “età grande”, quella appunto degli anziani”. Passaggio obbligatorio per la costruzione di questa nuova cultura pastorale della terza età, la conoscenza dell’esistente. L’indagine si è svolta in tre momenti. Prima si sono studiati i siti delle 226 diocesi italiane. Poi si sono svolte sei interviste approfondite a referenti qualificate di sei diocesi italiane del Nord, Centro e Sud. Infine, altre 40 interviste ai responsabili pastorali di altrettante diocesi per avere a disposizione un campione più largo. I risultati? Risposte troppo soggettive ed estemporanee, mancanza di un coordinamento nazionale, scarsa capacità di valorizzazione della persona anziana come risorsa, troppa concentrazione sull’aspetto legato alla salute e all’assistenza. Insomma, se come hanno spiegato stamattina l’arcivescovo Vincenzo Paglia e il presidente dell’Ipsos, Nando Pagnoncelli, nel corso della presentazione della ricerca, “di fronte a un’aspettativa di vita crescente e un contesto storico-sociale-familiare in mutamento, si fa fatica a cogliere i significati sempre più differenziati collegati all’essere anziani oggi».

Esperienza, saggezza, memoria. I valori dimenticati

Tanto che, come detto, quando si chiede di associare un termine alla categoria “terza età”, la visione in prima battuta è sempre al negativo. Si pensa alla solitudine (35%), alla vecchiaia (33%), all’assistenza sanitaria (30%), alla non autosufficienza (28%). E valori come l’esperienza, la saggezza, la custodia della memoria e delle tradizioni familiari? Ci sono ma arrivano dopo, con percentuali di risposta che variano dal 28 al 18%. Ancora peggio fanno hobby e tempo libero (5%) e uguaglianza (3%). Eppure, nonostante sia evidente l’importanza che la Chiesa pone sulla terza età (“molto importante” per il 48% degli intervistati), quando si cerca di mettere a fuoco l’anzianità 6 risposte su 10 spiegano che si tratta di una persona che “non ha più energie psico-fisiche per vivere a pieno la propria vita”, oppure “viene meno l’autonomia fisica e subentra l’esigenza di assistenza continua”. Soltanto il 33 per cento degli intervistati sceglie una definizione più neutra come “esce dal mercato del lavoro ed entra nel pensionamento”.

Solitario, giovanilista o autoconsapevole?

Un aspetto positivo riguarda la capacità di vedere l’anzianità non come un dato omogeneo ma attraverso tipologie diversificate. All’interno delle due grandi aree, quella della non autosufficienza e quella della piena autonomia, esistono nel primo ambito anziani “istituzionalizzati” e assistiti al proprio domicilio, nel secondo ambito categorie come “il solitario”, “il giovanilista”, “l’autoconsapevole”. Categorie che, anche per diocesi rappresentano un problema. Mentre l’anziano non autosufficiente istituzionalizzato vive molto spesso in strutture gestite direttamente dalla Chiesa, quello che viene assistito a domicilio è difficile da raggiungere e “spesso non si è neanche a conoscenza della sua esistenza”. Problemi simili presentano anche il “solitario” che rifugge da ogni socializzazione e il “giovanilista” che spesso vive in completa autonomia, “convinto dei propri mezzi”. Le figure più attive sono rappresentate dall’”autoconsapevole”, persone impegnate nel volontariato – per il 70% la loro presenza è decisiva per il funzionamento di attività e associazioni – in ruoli direttivi del laicato e anche nella “semplice” partecipazione ecclesiastico/liturgica.

In questo panorama si inserisce il discorso pastorale che, se da un lato riconosce l’importanza delle parole di papa Francesco, dall’altro ammette le difficoltà di tradurre queste indicazioni in proposte pastorali. Per il 48% degli intervistati la diocesi ha “accolto con entusiasmo” quanto detto dal Papa. Ma c’è anche un 27% che ammette “di non aver ancora posto attenzione al tema” e un 25% che si dice “preoccupato” perché il Papa ha sollevato una questione su “cui sappiamo di avere delle carenze da colmare”. E, a proposito dell’opportunità rappresentata dagli anziani di avere un ruolo nella pastorale diocesana, la metà valuta la loro presenza come “risorsa attiva che opera con regolarità, l’altra metà “come risorsa passiva che richiede sostegno”.

Pastorale della salute, della fragilità o della famiglia?

Un altro problema è rappresentato dall’ambito pastorale in cui viene inserita l’attività degli anziani. Il 78% per cento delle diocesi fa riferimento alla pastorale della salute, con uno sguardo pesantemente segnato da una caratterizzazione sanitaria, il 6% a una non meglio definita pastorale degli anziani. In qualche caso si parla di pastorale della terza età, oppure della famiglia, della fragilità, degli ammalati, delle case di riposo. In totale queste attività sono presenti in 8 diocesi su 10 al Nord, ma si scende al 59% al Centro Nord, al 39% al Centro Sud. E poi al 54% al Sud e al 75% nelle isole.

Incontri, gite, pellegrinaggi, laboratori

Quando la pastorale per anziani o terza età funziona – spiega ancora la ricerca – è in grado di combattere il rischio di auto-isolamento, evita la polarizzazione verso le fasce più giovani (come succede in molte parrocchie) e riconosce che senza uno sguardo specifico gran parte degli anziani autonomi e consapevoli, “vera linfa per la diocesi stesse”, si sarebbe allontanata della Chiesa. Tante le attività sperimentate: gruppi di lavoro multidisciplinari, incontri tematici, incontri, pellegrinaggi, gite, momenti intergenerazionali, laboratori di idee. Tutto bene? Sì, ma “si registra una sostanziale mancanza di coordinamento a livello macro: le pastorali nascono e si alimentano grazie alle iniziative dei singoli attori”.

In quadro variegato segnato da una buona dose di “fai da te”, esistono punti di forza, come la “collaborazione tra persone di età differenti” (56%); la “collaborazione tra mondo ecclesiastico e mondo laico” (44%); la “valorizzazione di diverse competenze” (33%). Ma anche punti di debolezza: “mancanza di formazione e competenza per affrontare i bisogni (33%); “disorganizzazione interna che produce inefficienze” (17%); “scarso impatto sulla vita degli anziani” (17%). L’ambito in cui questo tipo di pastorale offre il maggior sostegno rimane quello spirituale (83%), seguito dal sociale (67%), dal culturale (56%) e da quello sanitario (56%).

Costruire il futuro

La ricerca mette infine in luce alcune richieste emerse. Innanzi tutto, quella che sottolinea la necessità di “linee guida nazionali strutturate” pensate da un coordinamento nazionale in grado di scegliere gli esempi migliori e di metterli al servizio di tutti. Serve anche il coinvolgimento di figure laiche professioniste che siano disponibili a “mettere in campo la propria esperienza professionale”, ma anche persone adeguate all’interno delle diocesi. E infine, più collaborazione con le associazioni presenti sul territorio, più formazione, più confronto intergenerazionale, più ascolto dei bisogni, più capacità di ripensare le realtà ecclesiastiche come luogo di incontro non solo per ragazzi, ma anche per persone di ogni età, anziani compresi.

Fonte: Avvenire