Don Mauro Rivella, parroco di Santa Rita e consigliere spirituale End: da 25 anni accompagno le famiglie, la loro storia si è intrecciata alla mia. Coniugi che hanno accettato una proposta impegnativa

Sono più di novemila nel mondo i consiglieri spirituali dell’Equipe Notre-Dame (End), il grande movimento di spiritualità coniugale che dal 15 al 19 luglio si ritrova a Torino per il XIII Incontro internazionale. In Italia, tra gli oltre 600 sacerdoti che accompagnano le circa 3.500 coppie aderenti alle End, c’è monsignor Mauro Rivella, parroco della comunità di Santa Rita, santuario tra i più frequentati dai torinesi, e vicario episcopale per gli affari economici dell’arcidiocesi di Torino, da più di 25 anni consigliere spirituale di una Équipe Notre-Dame, composta da sei famiglie che ha accompagnato nel loro cammino.

Qual è secondo lei il ruolo del consigliere spirituale nell’End e perché ha scelto di aderire al movimento?

Come capita spesso, a un’esperienza ti accosti quasi per caso e poi diventa parte della tua vita. All’inizio erano alcune coppie di fidanzati in cerca di un sacerdote, anche lui giovane, che li accompagnasse. Un paio di anni dopo nacque una vera e propria Équipe Notre-Dame, che non ho lasciato neppure nel periodo in cui il mio ministero mi portò a Roma. La loro storia si è intrecciata con la mia: si sono sposati e hanno avuto figli, ormai grandi e prossimi al matrimonio. L’End mi ha convinto perché accompagna le coppie e le sostiene nel vivere in modo consapevole il loro essere cristiani, favorendo il dialogo all’interno e l’apertura al mondo.

Denatalità, crisi del matrimonio e della famiglia, difficoltà educative dei figli affliggono la nostra società: secondo la sua esperienza, le Équipe Notre-Dame possono essere lievito per le nuove generazioni per suscitare speranza, per dire che essere coppia e famiglia cristiana «ne vale la pena»?

Penso proprio ai figli delle coppie della mia End. Ormai sono grandi e stanno facendo le loro scelte. Guardando all’esperienza dei genitori hanno imparato che la vita a due è una questione seria. Ne conoscono le fatiche, ma anche la bellezza. Per questo la prendono comunque sul serio.

A Torino, città dei santi sociali, 8 mila coppie dell’Équipe Notre-Dame arriveranno da tutto il mondo per il 13° Raduno internazionale: che città accoglie il movimento e come stanno le famiglie torinesi? Torino è una grande città che sperimenta non poche fatiche e incertezze. C’è comunque una grande vivacità anche a livello ecclesiale, che fa sì che si affrontino con realismo le criticità del presente: il diffondersi delle convivenze, le tante separazioni, la crisi occupazionale, il disagio infantile, gli anziani soli. C’è la volontà di non abbandonare le famiglie, che costituiscono il nucleo di base della convivenza sociale.

L’Équipe Notre-Dame è un movimento ecclesiale radicato nella Chiesa: quale messaggio di spiritualità lancia alla società civile in un tempo dove le domande di senso salgono come un grido?

A me sembra che uno dei pregi delle End stia nel fatto di proporre un metodo che si applica con elasticità. Ogni gruppo, composto in genere di cinque-sei coppie, adatta alle proprie caratteristiche i punti di fondo della proposta: la preghiera, il confronto all’interno della coppia, la messa in comune delle esperienze, il tema di studio. Ci sono poi momenti comunitari, giornate e ritiri, offerti a tutti, così da ampliare il raggio delle esperienze. A poco a poco si creano legami di amicizia, che sono un valido sostegno nei momenti di fatica. Può capitare che a un certo punto del percorso una coppia si allontani, perché ha maturato altre scelte o perché è entrata in crisi. Ciò che si è costruito insieme non va perso e loro difficoltà sono un’occasione di verifica per chi resta.

Che cosa direbbe a una giovane coppia per invitarla a partecipare a un gruppo Équipe Notre- Dame?

Penso alle parole che Gesù rivolge ai primi discepoli all’inizio del Vangelo di Giovanni: «Venire e vedrete ». L’End è fatta per coppie che vogliono mettersi in gioco e che accettano la sfida del dialogo franco e continuo al loro interno (è il dovere di sedersi). È anche una proposta spirituale di qualità da condividere con persone di formazione e provenienza diversa. Penso che il punto di forza non sia l’omogeneità culturale o il livello sociale, ma l’età, perché permette di confrontarsi, in un’ottica di fede, con chi vive esperienze analoghe: 25 anni fa erano le ansie per i figli piccoli, oggi l’attenzione ai genitori anziani.

Fonte: Avvenire