di Caterina Majocchi, counsoler
L’esperienza di una counsoler che affianca mamme e papà nel percorso di crescita educativa dei figli. Il ruolo decisivo della testimonianza e la necessità di stimolare emozioni e curiosità
Cosa distoglie gli adolescenti dai social e dallo smartphone e cosa si può fare per avvicinarli ai libri? Si tratta di un tema che molto spesso i genitori pongono a noi counselor e che rappresenta un problema tutt’altro che agevole da risolvere. Giusto quindi tentare di approfondire.
Rivela una mamma. “Sono profondamente preoccupata per mio figlio sedicenne – mi dice – che sembra aver completamente perso interesse per la lettura. Fin da piccolo gli ho letto fiabe, abbiamo scelto libri insieme e cercato di coltivare il piacere della lettura, ma con l’adolescenza tutto è cambiato. Ormai legge solo il minimo indispensabile per la scuola e, appena può, passa il tempo davanti allo schermo dello smartphone o del computer. Anche quando gli impongo di stare senza dispositivi, preferisce semplicemente non fare nulla piuttosto che leggere e sembra cadere in uno stato di apatia. Questa situazione mi addolora e mi spaventa”.
Si tratta di una preoccupazione comprensibile. Il desiderio di trasmettere al figlio l’amore per la lettura dimostra che questa madre, come tanti altri genitori che si pongono gli stessi interrogativi, è attenta e premurosa. Racconta che figlio, quando era un bambino, ha amato la lettura e leggeva. Questo è molto importante, perché ha permesso di costruire in lui una predisposizione. Le neuroscienze direbbero che questo bambino ha avuto l’opportunità di sviluppare funzioni cerebrali fondamentali in un momento della vita in cui la neuroplasticità del cervello, ovvero la capacità del cervello di modificare le proprie strutture, è al massimo grado.
Dai dodici anni in poi, all’incirca, i ragazzi tendono a non ascoltare più i genitori, ma gli amici. Pertanto, considerato che i nativi digitali privilegiano i dispositivi (smartphone e tablet) ai libri, si capisce che questo ragazzo si sia adeguato: è un modo per restare in contatto con i suoi coetanei e per essere accettato.
Purtroppo, il grande rischio di questi ragazzi è la dipendenza dai dispositivi. Le neuroscienze hanno da tempo chiarito il meccanismo del piacere che si determina nell’interazione costante con il cellulare. Quando lo smartphone suona e andiamo a sbloccarlo per controllare lo scambio di “like” o di messaggi e anche per ricevere chiamate, attiviamo il “sistema dopaminergico”. Ciò significa che si innesca un meccanismo per cui il cervello ricompensa con la “dopamina”, nota come “neurotrasmettitore del piacere”, ogni operazione compiuta con il cellulare. Più uso lo smartphone, più ne traggo piacere, più sono motivato ad utilizzarlo: ecco il circolo vizioso della dipendenza. Se si sottrae lo smartphone, i ragazzi entrano infatti in stati ansiosi o apatici, in quanto tale meccanismo, al quale sono abituati, si interrompe.
Il fatto di non riuscire a staccarsi dal cellulare, unitamente all’età critica dell’adolescenza, nella quale i ragazzi tengono molto di più al giudizio dei coetanei che a quello dei genitori, sono due elementi che contribuiscono a distogliere dalla lettura. Il buon esempio della famiglia resta comunque fondamentale.
Un altro punto significativo che la mamma ha toccato riguarda la lettura nel contesto scolastico: “Mi stupisce che i libri proposti dalla scuola siano così semplici e focalizzati su tematiche di attualità. Mi aspettavo che venissero assegnati ancora gli intramontabili grandi classici della letteratura. Invece si punta su autori contemporanei, forse più vicini al linguaggio dei ragazzi, ma che non sembrano in grado di stimolare una vera passione per la lettura. Se – come lei sottolinea – i ragazzi sono intrappolati nei loro cellulari e non pensano ad altro, tuttavia la scuola, a mio parere, ha una sua responsabilità nel non riuscire a stimolare l’interesse per un buon libro”.
Va detto che la scelta del Ministero dell’Istruzione è molto positiva perché obbliga a rinunciare al cellulare durante le ore di scuola perché ciò evita la dispersione di energie e la perdita di concentrazione. Tuttavia, gli insegnanti si trovano il carico di dover colmare questo distacco con lezioni coinvolgenti, in grado di motivare l’apprendimento, facendo leva sulle emozioni. Questa consapevolezza non è ancora diffusa a sufficienza nel corpo docente. Lo si riscontra anche nella scelta dei libri che la scuola assegna.
L’osservazione sui libri di lettura da proporre agli studenti tocca un problema cruciale: il modo in cui la scuola propone la lettura. Vengono assegnati libri poveri di lessico e di contenuti, per lo più di intrattenimento o su temi legati alla cronaca, evitando i classici. “Gli intramontabili grandi classici della letteratura” sono libri senza tempo, che andrebbero letti perché forniscono una vera e propria educazione ai sentimenti e costituiscono un patrimonio comune di conoscenza che permette di costruire la nostra identità culturale.
I programmi scolastici, oltre tutto, prevedono che i testi vengano “vivisezionati” – per citare Susanna Tamaro – attraverso asettiche analisi che li destrutturano e li riducono ai loro elementi narrativi, svuotati da ogni emozione. Non si trasmette lo spirito di uno scritto, la bellezza di una frase, il gusto per la scelta delle parole. L’estetica di uno scritto, capace di muovere le emozioni e di condurre alla riflessione è del tutto trascurata. Nel momento in cui si analizza un testo in questo modo, la sua qualità diventa irrilevante. Non voglio dire che non sia importante capirne la struttura e conoscere le tecniche narrative, ma questo si dovrebbe fare solo in un secondo tempo, quando si è riusciti a far gustare la lettura.
In aggiunta, si impone la lettura come prestazione, cioè come qualcosa da misurare e valutare, anziché come un’esperienza psichica profonda. Eppure, la lettura, come la scrittura, su cui è modulata, è una funziona che integra la struttura psichica, come sottolinea Daniela Lucangeli. Quindi è tutt’altro che prestazione. Quando si fanno verifiche su un libro con una raffica di domande brevi che richiedono una risposta puntuale, si controlla se gli studenti abbiano effettivamente letto il libro, abbiano quindi svolto il compito a casa, per poi esprimere un giudizio che si concretizza in un voto, omettendo del tutto di indagare cosa i ragazzi abbiano compreso di quel libro, cosa sia loro rimasto dal punto di vista emotivo, quali riflessioni abbia suscitato.
“Cosa possiamo fare, allora?”. Il primo passo è cambiare prospettiva. Invece di preoccuparci del perché il ragazzo “non legge”; chiediamoci: Cosa lo emoziona? Cosa lo incuriosisce? Come possiamo fare per attrarlo verso la lettura? Un adolescente legge quando trova un significato emotivo nella lettura. Non forziamo un libro, ma scopriamo insieme ai nostri figli cosa lo può appassionare, senza pressioni e senza giudizio.
Fonte: Avvenire