di Luciano Moia

Troppe diagnosi di neurodiversità nascondono in realtà solo da problemi educativi e relazionali. L’allarme della garante Marina Terragni. Il pedagogista Daniele Novara conferma: questione molto grave

Diagnosi affrettate di neurodiversità o neurodivergenza. Capita spesso a molti bambini e si tratta di una questione da approfondire. Non è un mistero che i disturbi dello spettro autistico, oppure i deficit di attenzione o iperattività (Adhd o Dsa), i diversi problemi cognitivi e tanto altro siano in aumento costante. Almeno sulla carta. E qualche dubbio s’affaccia. Davvero tanti bambini ne soffrono? Non stiamo esagerando? Non stiamo confondendo situazioni fisiologiche di crescita con patologie fino a pochi decenni fa quasi inesistenti? A causa di questo atteggiamento che si illude di risolvere tutto con la neuropsichiatria, abbiamo mandato in soffitta l’impegno educativo dei genitori. Anzi, finiamo per inviare loro un messaggio implicito ma inequivocabile: “Non siete in grado di occuparvi dei vostri figli, avete già così tanto da fare, affidatevi agli specialisti, ai neuropsichiatri, agli psicologi. Vi insegneranno loro come fare”. Naturalmente con parcella acclusa e stigma assicurato.

L’allarme è stato rilanciato la scorsa settimana dalla garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni. E viene confermato dagli esperti, almeno da quelli convinti che dietro tante diagnosi di neurodiversità ci siano soprattutto carenze educative. Il pedagogista Daniele Novara ne aveva parlato già nel 2017 nel libro Non è colpa dei bambini (Rizzoli). Lo stesso Novara, con altri specialisti, tra cui il neuropsichiatra Michele Zappella, aveva aderito nell’aprile 2024 al manifesto “Ripensare l’autismo” in cui si chiedeva un cambio di rotta nelle diagnosi e un “ripensamento approfondito della situazione e dell’organizzazione dei servizi per l’assistenza all’infanzia” (https://www.metododanielenovara.it/manifestoautismo/).

E oggi Novara conferma e rilancia: ”Troppe scuole si affidano in buona fede agli screening neuropsichiatrici nella convinzione di aiutare i bambini e le famiglie. Test eseguiti molto spesso da centri privati senza alcun protocollo di riferimento riconosciuto a livello ministeriale. Così viene segnalato come fragile, neurodivergente o comunque con qualche problema almeno un terzo dei bambini e viene consigliato ai genitori di rivolgersi a un neuropsichiatra infantile. Ma è credibile che tanti bambini vivano queste difficoltà? Forse dovremmo cercare altrove la soluzione di questi problemi”.

La dimensione del fenomeno è confermata, anche a livello statistico, da un progetto educativo, intitolato “InsegnaMi l’arte”, concluso a giugno dall’Istituto di antropologia per la cultura della persona e della famiglia di Milano in cui sono stati coinvolti circa mille bambini dai 6 agli 11 anni di 34 nazionalità diverse, alunni di istituti delle periferie milanesi. Ebbene, un quarto di questi bambini ha avuto segnalazioni per situazioni particolari. I problemi di tipo cognitivo raggiungono il 14 per cento. Una criticità che fa riflettere.

Alla luce di tutti questi segnali si comprende meglio l’allarme della garante Marina Terragni ascoltata la scorsa settimana dalla Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla fragilità emotiva e psicologica dei più giovani. Tre le questioni sulle quali Terragni ha posto l’accento: l’esposizione eccessiva agli schermi di bambini e ragazzi, la fragilità e la solitudine delle famiglie e, appunto, l’eccesso di neurodiagnosi. Tutti fattori che Terragni ha posto tra le cause del manifestarsi dei disagi che investono l’infanzia e l’adolescenza.

Sul tema degli schermi l’Autorità garante ha sottolineato come siano gli stessi ragazzi a mostrarsi esausti per la costante connessione e a manifestare segnali di ribellione. “Dobbiamo ascoltarli – ha detto – perché sul digitale possono dirci molto: chiedono spazi sicuri, luoghi di disconnessione dove non si sentano giudicati”. L’Autorità garante a questo proposito pubblicherà un bando destinato ai Comuni per promuovere la creazione di spazi liberi di aggregazione, senza la sorveglianza degli adulti e lontani dai dispositivi digitali.

Per un’efficace prevenzione dei disturbi psichici dei minorenni – sempre secondo Terragni – non basta lavorare sul digitale, ma occorre intervenire sulle famiglie, infragilite per una serie di fattori. Tra di essi il rimpicciolirsi dei nuclei, la perdita del supporto da parte della famiglia più estesa, lo sfarinamento della dimensione comunitaria, il progressivo isolamento, ai quali spesso si aggiungono problematiche di tipo economico e sociale. Tema quello della famiglia a cui Terragni ha annunciato l’intenzione di dedicare un evento per la prossima Giornata mondiale dell’infanzia (si celebra il 20 novembre).

A questo punto ecco la questione delle cosiddette neurodiversità o neurodivergenze. “Capita che difficoltà momentanee, perfino fisiologiche nella crescita del bambino, vengano considerate invece l’incipit di un disturbo e siano oggetto di neurodiagnosi precoce – ha sottolineato la garante – e non invece di un progetto educativo che costituirebbe la vera prevenzione e perfino la vera cura. Avviene quindi che molti bambini siano etichettati come neurodiversi, etichetta che si porteranno addosso a lungo o per sempre. Di nuovo, in molti casi, siamo di fronte a una grande fragilità della famiglia, che abdica ai propri compiti educativi”.

Curare con l’educazione è sempre stata una tesi portata avanti da Daniele Novara secondo cui la maggior parte dei disturbi infantili – compresi quelli che oggi vengono etichettati come neurodiversità – sono in realtà malattie dell’educazione. “Alla radice di queste fragilità – sottolinea ancora il pedagogista – ci sono stili di vita che potrebbero essere corretti. Oggi i bambini, anche quelli al di sotto dei tre anni, dormono poco. Il pisolino pomeridiano indispensabile a quell’età, è stato quasi ovunque abolito. Dopo il Covid tante scuole materne si rifiutano di organizzare il riposo dopo il pranzo. Ma se a tre anni non facciano dormire i bambini almeno per 12 ore al giorno, il loro cervello si inceppa e possono scatenarsi situazioni anomale sul piano emotivo e comportamentale”.

Anche tutta la questione digitale, accennata dalla garante e di cui si parla da tempo, andrebbe affrontata con un approccio diverso. C’è il problema dello smartphone di cui abbiamo lungamente parlato – Novara ha lanciato un appello con Alberto Pellai per vietarlo fino ai 14 anni – ma anche la smart tv da cui si può accedere ai siti porno e all’horror non andrebbe mai lasciata nelle mani di un bambino senza controllo. “Se non togliamo tempo e spazi al virtuale per restituirlo alla vita reale – riprende il pedagogista – dobbiamo prepararci a veder crescere quelle implicazioni negative nei comportamenti e nell’apprendimento che troppo spesso vengono facilmente scambiate per neurodiversità. Da pedagogista dico che siamo invece di fronte molto spesso a problemi di tipo educativo e che quindi ci sono anche genitori da accompagnare e da aiutare”.

Attenzione, né Marina Terragni, né Daniele Novara, né altri esperti, a cominciare da quelli che hanno firmato il manifesto “Ripensare l’autismo”, sostengono che i disturbi cognitivi non esistano. Come nessuno si sogna di negare le conseguenze di problemi come Adhd o Dsa. Ci sono certamente bambini che ne soffrono e che vanno affidati alle cure dei neuropsichiatri. Il problema da indagare è piuttosto l’aumento esponenziale di queste diagnosi (per quanto riguarda lo spettro autistico di duecento volte) e le modalità con cui vengono stabilite. Occorre insomma capire meglio dove esistono realmente problemi clinici e dove invece le difficoltà nascono da problematiche comunicative, pedagogiche e relazionali in famiglia. Perché, per ogni diagnosi affrettata e superficiale, ci sono bambini e famiglie che subiscono effetti collaterali negativi, spesso irreversibili. E questo non è accettabile.

Fonte: Avvenire