Che idea di corpo abbiamo oggi, proviamo a domandarci, la concezione che abbiamo è quella di un corpo di diritto? Un corpo di cui possiamo disporre come ci piace? Un corpo a modo mio? – come qualcuno ha detto – un corpo come veicolo di gratificazioni? Una maschera da indossare? Un’appendice che posso decidere come utilizzare? Qualcuno parla anche di un corpo “appendiabiti” dove posso metter su qualche cosa che dopo tolgo con estrema rapidità? Oppure il corpo è un luogo di relazione con l’altro? Il corpo è essenziale? Il che vuol dire che non lo posso manipolare a piacere perché in qualche misura mi è dato e non ne dispongo completamente ed è altrettanto importante, coestensivo, col pensiero.
Cosa vuol dire che il corpo è coestensivo col pensiero? Vuol dire che tutto in un essere umano passa attraverso il corpo, non possiamo amare, pensare, immaginare, conoscere se non attraverso il corpo almeno finché siamo in questo mondo, tutto nel corpo è già caratterizzato dal pensiero, è già intriso di senso, il nostro è un corpo vissuto, non semplicemente una cosa di cui possiamo disporre.
A partire da questa domanda: che idea abbiamo del corpo? Dirò due cose cose fondamentali. Prima cercherò di indagare come lo vediamo oggi. A me pare che oggi il corpo sia un luogo di contraddizioni. Questa sarà la prima idea che vorrei passarvi. La seconda idea sarà come potremmo ripensare il corpo per dare significato, spessore e densità al vissuto corporeo
1. Il corpo come luogo di contraddizioni
Proviamo a pensarci, per un verso il corpo è surdeterminato. Quanta importanza diamo al corpo! Il corpo palestrato, il corpo curatissimo, il corpo come ultima frontiera dell’identità, quasi in funzione di supplenza; è chiaro che se io non so chi sono, è più facile appendermi al corpo. Il corpo diventa una superficie e in questa superficie io scrivo dei rivestimenti, degli abiti per l’appunto; possono essere cosmetici, possono essere addirittura ormonali, possono essere anche chirurgici. Io incido la mia identità sulla superficie del corpo. Vediamo per esempio tutta l’importanza che ha il tatuaggio. È come se in un momento di grande volatilità, di grande fluidità di indeterminazioni dove tutto fugge, dove l’identità è sfuggente, inafferrabile, uno ha bisogno di legarsi a qualcosa, e che cosa fa? Marchia il proprio corpo, si ferma lì. Non dico che sia l’unico significato, però è interessante notare che è come se scrivessimo la nostra identità, la nostra appartenenza sulla superficie del nostro corpo. Dall’altra parte però è un corpo deindividualizzato, un corpo sganciato da me. Non solo perché i marcatori simbolici sono disponibili in un mercato globale, non sono poi tanto miei, visto che a volte siamo tutti uguali, tutti copie conformi: tutti vestiti nello stesso modo, tutti abbigliati in gregge in una sorta di omologazione. Non solo deindividualizzato da questo ponto di vista, ma anche perché il corpo viene parzializzato, viene ridotto, viene addirittura smaterializzato. Pensate a tutta la comunicazione virtuale, è una comunicazione senza corpo. Allora da una parte il corpo è un feticcio: il MIO IO e dall’altra parte lo smaterializziamo anche se gli esperti ci dicono che quando comunichiamo senza corpo sentiamo un bisogno profondo di creare immagini o di spedire immagini del corpo assente. Anche da qui tutto l’uso dei “selfie”, andiamo in giro facendoci fotografie, spediamo fotografie quasi per ricordare a noi stessi che abbiamo bisogno di essere radicati nel corpo e quando vi sfuggiamo siamo portati a delle manovre di compensazione.
Altra forma di contraddizione che io avverto: da una parte il nostro corpo è un corpo da potenziare, cioè il mito del corpo performante, quindi il corpo dopato, il corpo di cui è possibile aumentare le prestazioni, tanto le prestazioni di tipo fisico, quanto le prestazioni di tipo mentale cognitivo, addirittura le prestazioni di tipo sessuale e questo perché? Perché il corpo diventa un sostegno al nostro narcisismo. Dall’altra parte però, guardate bene come viene trattato il corpo in alcuni format televisivi, penso ad esempio alle fiction. Lì il corpo è continuamente presentato come un corpo ferito, esposto, un corpo fatto a pezzi. Vedete per esempio il corpo delle donne e dei bambini che viene mostrato fatto a pezzi in mille modi con accanimento esasperato. Addirittura pensate alla dissezione che facciamo dei cadaveri che sono dissezionati con maniacale accanimento, certo per capire la verità di un corpo spezzato, ma quante immagini abbiamo di cadaveri dissezionati? Allora il corpo è un corpo potente e un corpo vulnerabile, ferito, esposto. Sempre luogo di contraddizioni. Il corpo appare anche come una superficie politica, dove non solo scrivo la mia identità ma anche tutto un programma politico di trasformazione dell’idea del corpo. Faccio riferimento ad una pensatrice transessuale spagnola che vive in Francia: Beatrice Paul Preciado, che dice una cosa molto interessante: “il cambiamento che ha luogo in me è il mutamento di un’epoca”. “Il cambiamento che ha luogo in me…” attraverso l’assunzione del testosterone nel suo caso “non è solo mio, non è un cambiamento che riguarda la mia sola intimità, è un cambiamento epocale ed è la difesa che io faccio di poter decidere come lo modifico”, quindi il corpo è una superficie politica che attiva dei processi di trasformazione, la stessa cosa nelle pratiche di fecondazione artificiale, quelle particolarmente slegate dalla coniugalità. A tal proposito leggevo pensatrici che dicevano “voglio riprodurmi (riprodurmi, una cosa di un narcisismo estremo) perché voglio fare un esperimento di avvicinamento corporeo e un esperimento politico di procreazione slegata dalla coniugalità”. Terrificante! Quindi il mio corpo è uno strumento politico. Lì si giocano i rapporti di potere, ma guardate, dall’altra parte, il corpo è allo stesso tempo desimbolizzato. Non ha di suo nulla da dire, non ha una densità. La stessa pensatrice di cui ho detto prima (Preciado) dice “nessuno dei miei sessi ha una densità ontologica eppure per me non c’è altro modo di essere corpo”, quindi l’esperienza del corpo è una esperienza di espropriazione perché il corpo è politicamente marcato. Il corpo non ha di suo nulla da dire, non ha codici di senso, non ha matrici, non è un centro unitario di esperienza. Queste sono le polarità verso le quali il corpo oscilla: tanto più s’insiste verso l’una, tanto più per compensazione si va a finire nella polarità opposta; ed è proprio la riduzione del corpo che viene visto come eccessivamente importante oppure smaterializzato, è proprio questa oscillazione che fa sì che il gioco delle oscillazioni sia molto rapido, molto insistito, molto accentuato.
2. Decifrare simbolicamente il Corpo
Allora che proposta facciamo? Occorre procedere ad una decifrazione simbolica del vissuto corporeo. Bisogna smetterla di pensare il corpo come un oggetto, una cosa tra le cose, Körpar, diceva per fare un nome Husserl, ma bisogna dare un nome al corpo come Leib, come centro dell’esperienza. Cosa vuol dire decifrare simbolicamente il corpo? Il corpo ha dei codici di senso, è come un libro da leggere, uno deve imparare a leggerlo, deve decifrarlo per l’appunto, capire i codici di senso che sono molto visibili, visibili nei luoghi più vulnerabili: nei luoghi della nascita, della morte, della sofferenza, della malattia e nei luoghi della sessualità. Questi codici ci dicono qualche cosa sul nostro modo di stare al mondo. Ad esempio: ha qualcosa da dire il corpo sessuato? Secondo la maggior parte degli studi sembrerebbe che non abbia niente da dire, che il mio essere donna non incida sul mio modo di sentire, di desiderare, di agire, sulla mia identità, su quello che sono io. Proviamo a vedere se ha qualcosa da dire l’esperienza del corpo sessuato. È la stessa cosa incontrare l’altro nell’amore dentro di sé, come fa una donna o fuori di sé come fa un uomo? È la stessa cosa generare in sé o generare fuori di sé? Questo non dà un imprinting? Non segnano la nostra esperienza? Non sono dei luoghi da decifrare, da comprendere? Che danno un’inclinazione? Un modo di stare al mondo? Poi sarà la nostra libertà a trovare un modo di attuazione di queste inclinazioni, ma qualche inclinazione ci deve essere, perché diversa è la fisiologia di una donna da quella di un uomo, è diverso il modo di provare piacere di un uomo e di una donna, diverso l’equilibrio fisiologico, diversa la modalità di incontrare l’altro nell’amore, diversa l’esperienza della gestazione. Vogliamo negare questa differenza o vogliamo farla diventare matrice di senso? Matrice di civiltà? Farla lievitare? Questa è una grande scommessa, non abbiamo tutte le risposte, però la domanda è questa: vogliamo negarla questa differenza? O vogliamo farla diventare matrice di significato? Dobbiamo pensare che il corpo non è confinato nell’immediato sentire, è un centro di esperienza che va ascoltato e che va educato. Il corpo per un verso è un dato da cogliere, mi è dato, l’ho ricevuto, non me lo sono costruito, per altro verso è un luogo da conquistare, un segno da decifrare, per cui ci vuole tutto un lavoro di comprensione: quali sono le reazioni? Quali sono gli istinti? Quali sono le cose che io provo? Quali parole ho per dire le cose che provo? Abbiamo parole per significarle? Possiamo nominare le percezioni, le sensazioni? Possiamo, quindi, capirle, nominarle, integrarle nel nostro piano di vita? Portare alla parola tutte queste cose qui, quindi non è immediato sentire.
Che cose ci fa capire il corpo? Due cose fondamentali. Il nostro corpo ci parla di un limite, siamo limitati; e il corpo come luogo d’incontro con l’altro, col mondo, l’essere in relazione con l’altro.
- Il limite: io non posso essere tutto, essere uomo e donna allo stesso tempo, godere di tutto, potere tutto, fare tutto. Questa è una grande illusione che però porta con sé un annichilimento, porta con sé lo smarrimento, porta con sé un godimento compulsivo e soffoca lo spazio del desiderio. Se sono tutto non desidero più niente, se sono tutto non ho bisogno di fermarmi e di ammirare la differenza dell’altro… sono già pieno di me, ecco che il desiderio che si nutre di sé medesimo è quel desiderio che muore di fame perché non viene alimentato, perché si spezza, si ferma. Invece se volgi lo sguardo sull’altro che non ti appartiene, è una soglia inaccessibile a te e viceversa, allora gli occhi del desiderio, dell’immaginazione, del sogno, della creatività si accendono, ma se il limite si abolisce, non desidererai più, infatti oggi si dice che “l’uomo contemporaneo è un uomo senza desiderio, inchiodato alla pulsionalità perché la pulsionalità è esattamente l’opposto del desiderio, tutto pieno, tutto subito consumisticamente, invece il desiderio è lo spazio perché l’altro venga, è anche il coltivare l’immaginazione, il sentire la mancanza che nutre di senso l’incontro con l’altro.
- Il corpo è il tramite con il mondo, il modo in cui incontro il mondo. Qui il pensiero cristiano ha detto una verità insuperabile, non è che il corpo contenga l’anima, molto più profondamente, è l’anima che contiene il corpo. La qualità dell’anima impronta di sé le mie posture corporee. Quale forma prende il mio corpo? Il mio corpo si deforma quando sto male. È l’anima che si imprime nei diversi modi di vivere il corpo, per questo non si può toccare il corpo dell’altro senza sfiorare l’anima dell’altro. Questo è importante perché ci fa capire che il corpo è indisponibile, è una soglia inaccessibile che non si può varcare impunemente, e poi è un luogo commovente perché sfiorando il corpo dell’altro si entra in contatto con la parola che sta sotto la vibrazione della sua carne.
Il corpo parla e l’esperienza corporea suscita la parola, il corpo non è nulla senza la parola, senza il linguaggio, senza lo spirito. Il corpo parla ma non è nulla senza l’anima che lo muove, che lo porta alla vita, il corpo è il luogo di espressione dell’anima e noi viviamo in questa situazione: il corpo come l’essere in presenza d’altri, essere in relazione di mutua presenza. Corpo come ciò che esprime la parola, corpo che senza la parola non è nulla, si sgonfia, si perde. In questa coestensività tra corpo e parola è il luogo da trattare, è il luogo su cui lavorare, su cui portare il nostro sguardo. Portiamo alla luce l’idea di un corpo parola dove si gioca la nostra esistenza.
Autrice: Susy Zanardo
Fonte: Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Gruppo di Ricerca “Essere uomo, essere donna”.
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