di Luciano Moia
C’è un modo “sano e costruttivo” di litigare? Sì, se con litigio intendiamo una discussione accesa che non oltrepassa mai i limiti del confronto rispettoso e positivo. Quello in cui la discussione non perde di vista il bene dell’altro/a e non ha altro fine se non quello di far comprendere, magari in modo un po’ acceso, il nostro punto di vista. Che, probabilmente, è quello sbagliato, ma vorremmo che l’altro/a lo intendesse proprio per quello che è, senza equivocare, senza pregiudizi nei nostri confronti, senza letture trasversali. E quindi discutere animatamente, anche litigare in questa dimensione costruttiva, non significa altro se non aiutare l’altro/a a mettersi nei nostri panni, a condizione però che anche noi facciamo lo stesso sforzo per metterci nei suoi. Questo è un litigio che fa crescere. Quindi, litigio “sano”.
Litigio “insano” è invece quello che punta alla distruzione, all’umiliazione, alla vittoria per kappao. Come se, per affermare le nostre buone ragioni, sia necessario mettere al muro nostra moglie, nostro marito, nella convinzione che quanto più il livello di conflittualità diventa elevato, tanto più possiamo affermare di aver costruito una base dove diventi chiaro “chi porta i pantaloni”, come si diceva un tempo, quando il diritto di famiglia era tutto segnato da un maschilismo senza se e senza ma. Sbagliato?
Sbagliatissimo, conferma Flavio Parente, medico, esperto in mediazione familiare ad approccio sistemico, studioso delle dinamiche di coppia che nel suo ultimo libro, Superare la crisi di coppia. Un percorso di rinascita tra psicologia e spiritualità (San Paolo), propone tra l’altro un vademecum per litigare in modo sano. Non è impossibile, basta seguire quelle che l’esperto definisce “regole di coppia” e “regole individuali”.
Partiamo dalle prime. Innanzi tutto, occorre avere chiaro che nel litigio di coppia non c’è uno che vince e uno che perde. O si vince insieme, o si perde insieme. E si tratta di un bellissimo concetto per sottolineare l’intento positivo del confronto. La vittoria è quella che riporta nella discussione tra i due un “clima di parità”.
Seconda regola, mai riprendere questioni del passato, storie vecchie e sepolte. Inutile divagare, ricordando “quella volta che tu…”. Rimaniamo nel contingente, affrontando il problema del momento. Più si va indietro nel tempo, più si aprono capitoli che finirebbero solo per rinnovare dolore e incomprensioni.
Terza regola, non litigare mai davanti ai figli. E i motivi sono fin troppi chiari. Ma neppure (quarta) davanti ai rispettivi genitori. “La coppia – scrive Patente – è un sistema dinamico (cioè in grado di cambiare), chiuso (non deve arrivare niente di fuorviante dall’esterno) e paritario (fatto di due persone sullo stesso piano). Per cui tutte le perturbazioni che vengono dall’esterno fanno sbilanciare questo sistema, fino a romperlo”. Figurarsi i genitori di lei, o anche quelli di lui, che prenderebbero subito le difese dei rispettivi figli e trasformerebbero un dialogo-confronto-litigio di coppia in una disputa tra i rispettivi sistemi familiari, con tanto di rievocazioni delle glorie passate.
Quinta regola, quando anche nella discussione si dovessero perdere un po’ le staffe – eventualità che non dovrebbe mai capitare ma spesso capita – vietato evocare separazione e divorzio. Non sono prospettive che aiutano a riflettere con serenità. Evidentemente. Altrettanto vietato (sesta regola) ricorrere a parole e a gesti che contribuiscono ad aumentare il disagio del partner. Tutti noi sappiamo che ci sono riferimenti verbali o gestuali insopportabili per lui o per lei. Se vogliamo che il litigio approdi a un esito positivo, meglio lasciar perdere le provocazioni inutili.
La settima regola è di importanza decisiva. E personalmente l’avremmo messa al primo posto. Nel corso della discussione ci si può anche accorgere di avere torto, si può comprendere che ciò di cui eravamo convinti si sta rivelando fuori bersaglio. Ebbene, con tranquillità e lealtà, dobbiamo riconoscerlo. Se ammettiamo, proprio grazie a quel momento di confronto, che non abbiamo ragione, diciamolo in modo semplice e franco. Si tratta di una scelta onesta – quando ne siamo davvero convinti – che ha il potere di troncare quasi subito il conflitto.
Ma attenzione – questo Parente non lo scrive, ma lo aggiungiamo noi – vanno evitate assolutamente le concessioni buoniste, che vuol dire lasciare cadere qualche “ok, hai ragione tu e finiamola qui”, solo per liberarsi dal fastidio del conflitto. Sbagliato, sia perché il partner comprenderebbe fin troppo facilmente che non siamo affatto convinti di quell’ammissione e vogliamo sfuggire al confronto, sia perché la finta resa avrebbe tra le altre conseguenze quella di lasciare le cose più o meno immutate, con lei e lui ingessati di fatto, anche se non formalmente, sulle reciproche posizioni. È vero che la discussione finirebbe ma non si sarebbe trattato di un contributo alla verità.
Che va cercata in modo trasparente ma anche rapido (ottava regola). Mai prolungare oltre misura la discussione, trascinando e incancrenendo i rapporti. “Se c’è stato un litigio durante la giornata, meglio andare a dormire avendo fatto pace”. Infine (nona regola) mai fare del male all’altro/a. Né con le parole, né fisicamente, ma questa eventualità non si dovrebbe neppure prendere in considerazione. Stiamo parlando di un litigio tra due persone che comunque si amano e desiderano reciprocamente il bene dell’altro/a, non di una gara di pugilato.
Esistono poi quelle che Flavio Parente definisce regole individuali, che sono pochissime e chiare: non alzare la voce, utilizzare le buone maniere, non litigare quando ci si trova in stati emotivi alterati. Dovrebbe bastare per trasformare la conflittualità in un momento di crescita che punta la bene della coppia.
Obiettivo che attraversa del resto l’intero libro, che ha una caratteristica importante e tutt’altro che scontata. Quella cioè di innestare la precisione scientifica dell’approccio sistemico in una dimensione di fede perché, scrive l’autore, “Dio fa ogni cosa nuova e l’amore vince sempre”. Anche quando sembra il contrario. Alla fine di ogni capitolo le considerazioni psicologiche-esistenziali sono corredate da citazioni delle Scritture scelte con sorprendente coerenza. Come se i nostri problemi di coppia, le nostre ansie, i nostri affanni relazionali fossero già in qualche modo compresi nella profondità e della saggezza della Parola.
Fonte: Avvenire