di Luciano Moia

Sono immersi nella logica digitale del “tutto e subito”. Come possono comprendere la gioia di aspettare? Rispondono Francesca Napolitano, Salvatore Franco, Fabrizio Travaini

Cos’è l’Avvento? Un tempo per attendere. Un tempo di speranza per preparare il cuore a un avvenimento straordinario. Un tempo per comprendere che in un prossimo futuro ripartirà una storia destinata a cambiare il mondo. Sì, certo, accaduta oltre duemila anni fa, ma che ogni volta, nel cuore di ciascuno, è destinata a ribadire che il mistero della salvezza ci tocca da vicino e parla la nostra lingua, sceglie il nostro tempo, la nostra condizione, la nostra capacità di accogliere e di comprendere.

Ma come riuscire a raccontare ai nostri ragazzi iperconnessi e ingabbiati nel pianeta digitale – dove tutto parla il linguaggio di un presente immutabile – questo mistero dell’attesa? Ecco le risposte di tre esperti

Francesca Napolitano, docente di pedagogia Pontificia Università Salesiana:

“Oggi i nostri ragazzi vivono nell’immediato, l’utilizzo permanente di social e web ha abituato questi giovani ad avere, e pretendere, risposte immediate per tutte le domande. L’attesa è un concetto che a loro sfugge. Quando si tratta di “attendere” qualcosa si scatena in loro ansia e preoccupazione. Il loro modo di pensare all’attesa è legato a qualcosa di indefinito che potrebbe accadere in un futuro lontano. Hanno cancellato il concetto di futuro prossimo. Tutto è giocato sull’immediato. L’obiettivo è avere un risultato subito, nel presente, che è il tempo in cui loro vivono e in cui sono abituati a pensare.

Occorre quindi aiutare i ragazzi ad “allenarsi” all’attesa. Ed è necessario che vengano educati a questo fin da bambini. La ricerca ha dimostrato che i ragazzi educati ad attendere fin da piccoli diventeranno adulti più consapevoli e maturi, con maggior capacità di analisi e di controllo, con più spiccate capacità cognitive e intellettuali. Ecco perché il genitore – ma anche l’educatore, il catechista, l’insegnante – che fornisce subito tutte le risposte possibili, non contribuisce alla maturazione del ragazzo. Occorre fermarsi a riflettere con loro, aiutarli a trovare da soli le risposte, “attendere” appunto con loro che trascorra il tempo necessari per comprendere quel concetto o quella intuizione, il tempo dell’Avvento è appunto questo.

Quando l’insegnante in classe fa una domanda non dovrebbe pretendere subito una risposta, ma dovrebbe dire: “Adesso pensateci cinque minuti e poi mi darete la vostra risposta”. Il tutto e subito – dobbiamo dirlo ai nostri ragazzi – non paga mai, non contribuisce a sedimentare riflessioni e concetti. Serve un tempo necessario per rielaborare i concetti, per far propria una riflessione, per mettere a fuoco un pensiero e farlo proprio. Ecco perché, a livello educativo, occorre organizzare attività più rispettose dei “tempi di attesa”. E far capire ai ragazzi che se si bruciano questi tempi di attesa ne ricaveremo solo ansia, preoccupazione, confusione mentale. Da qui la necessità di un allenamento all’emotività, l’urgenza di misurare gli impegni a cui chiamiamo i nostri ragazzi. Oggi sono assorbiti da troppe incombenze scolastiche ed extrascolastiche e sono in qualche modo costretti a fare tutto “senza attesa”. Non si tratta solo di una conseguenza del mondo digitale ma anche di organizzazione sociale. E questo va ripensato se vogliamo il bene dei nostri ragazzi.

Padre Salvatore Franco, psicologo e psicoterapeuta, missionario degli Oblati di Maria Immacolata, responsabile Centri di ascolto, membro del Consiglio di presidenza del Servizio nazionale tutela minori della Cei e coordinatore regionale per la Sicilia:

Molto occupati e impauriti, così il Vangelo, con cui è iniziato l’Avvento, ha descritto la gente degli ultimi tempi, che, per questo, appaiono incapaci di sperare nella venuta del Figlio di Dio. A questa immagine segue spontanea una domanda: «Ma, così non sembrano anche i nostri ragazzi che vediamo quasi costantemente impegnati a scambiarsi messaggi e a condividere video di ogni tipo e dunque ormai disabituati ad alzare la testa dallo smartphone come dal piatto in cui mangiano?».

Sì, perché la loro sembra proprio una fame, una bulimia nascosta, che spinge ad ingoiare il più in fretta possibile quello che offre la strada e la piazza virtuale, per poi passare ancora ad altro, in un moto costante senza meta. Ma allora non è che anche loro, in fondo in fondo, sono spaventati, talvolta angosciati, dall’incertezza presente e futura e così trovano confortante starsene rintananti in un presente comodo e immaginario?

Pensiamo solo alle catastrofi ambientali che appaiono minacciose all’orizzonte, alla precarietà degli affetti e delle relazioni a cominciare da quelle familiari, alle mille e nessuna probabilità di trovare una stabilità, all’identità così fluida da non ritenere più necessario definirla. L’Avvento ci parla in fondo di due cose così preziose che molti di loro purtroppo non hanno ancora ricevuto: la fiducia e la speranza e quindi, collegate a queste, il desiderio e il piacere dell’attesa. Certo per desiderare occorrerebbe placare prima l’ansia e la paura, occorrerebbe prima sfamare il cuore e il corpo con qualcosa di buono come il tempo e l’ascolto di un adulto significativo, il calore di un abbraccio che non possiede, un amore vero e fedele.

Credo proprio che prima di chiedere loro di capire occorrerebbe fermarsi noi, per alzare lo sguardo verso le nubi che sovrastano le vite di questi ragazzi apparentemente indifferenti a tutto, per riconoscere in quei volti immersi in un altrove incerto, il “Figlio dell’uomo” che viene nel presente e attende qualcuno che si accorga di lui e non lo tema, anzi lo desideri ancora con tutto il cuore. Ci vuole qualcuno insomma che li accompagni a uscire per “veder le stelle” (Cfr. La divina commedia, Inferno XXXIV, 139).

Fabrizio Travaini, educatore, docente di psicologia e scienze dell’educazione nelle scuole superiori:

Comunicare agli adolescenti contemporanei l’importanza dell’attesa, del saper rimandare la gratificazione istantanea tipica di quest’epoca è indubbiamente un arduo compito educativo. Nonostante questa constatazione, siamo però chiamati a non divincolarci da questa sfida, ma a provare a riconfigurare con nuove parole ed idee originali dei concetti e delle proposte che da millenni vengono tramandate da una generazione adulta ad una più giovane. In passato, per spiegare questi insegnamenti, le metafore strettamente connesse alla natura la facevano da padrona.

Pensiamo ad alcune narrazioni esemplificative: la passeggiata in salita in montagna per arrivare fino alla vetta dove godersi il panorama, il grano che impiega il suo tempo per maturare prima di poter essere raccolto, l’incubazione della crisalide prima di diventare farfalla, i magi che seguono pazientemente la stella Polare che li condurrà alla mangiatoia. Oggi questo mondo appare a molti dei nativi digitali come una realtà a parte, anacronistica e distante. Una via percorribile potrebbe allora essere quella di utilizzare un linguaggio per loro più accattivante e comprensibile, ma soprattutto più aderente alla loro esperienza, che sappiamo essere sempre più tecnologizzata. Potremmo allora portare Minecraft come esempio di un intero scenario virtuale costruito attraverso un enorme sforzo di creatività pazienza e tempo necessari a realizzare qualcosa di appagante. Oppure farli riflettere sui vari sportivi così popolari sui social network e su come i loro successi si siano costruiti in lunghissimi tempi di gestazione, allenamenti sfiancanti, tra alti e bassi, vittorie e sconfitte, sapendo aspettare l’occasione giusta per riscattarsi.

Un ulteriore tentativo potrebbe essere quello di provare a proporre loro un rapporto più sano ed equilibrato con le serie TV, scongiurando la prassi così diffusa del binge watching. Educarli a sapersi dare il tempo di gustarsi un contenuto multimediale che apprezzano particolarmente senza doverlo necessariamente divorare assecondando la legge del “prossimo episodio tra 5 secondi” con tanto di countdown incorporato.

Sostanzialmente l’idea di fondo è quella di raggiungerli laddove loro si trovano, nel loro mondo e col loro immaginario, per trasmettergli qualcosa che è senza tempo e resta una fondamentale competenza per noi tutti: saper gustare l’attesa.

Fonte: Avvenire