L’Italia è in emergenza demografica. Ma nel mondo sviluppato i tassi di fecondità sono ovunque un problema. E’ l’effetto di una cultura che ha trasformato tutto in merce e reso i figli un optional.

Con un tasso di fecondità sceso nel 2018 a 1,29 figli per donna l’Italia è in piena crisi demografica. Ma si può fare qualcosa di utile contro il crollo delle nascite? Ovviamente sì. Ma chiunque volesse cimentarsi nell’impresa dovrebbe tenere conto di un aspetto che può sconfortare: per ridare linfa alla natalità non basta il pur indispensabile impegno per cercare di colmare la distanza che ci separa dai Paesi con assegni per i figli più generosi, un fisco più leggero per chi ha famiglia e misure più incisive per favorire la conciliazione casa-lavoro. Intendiamoci, è tutto molto più che necessario: è dovuto. Ma ogni sforzo dovrebbe fare i conti con una cultura che ha messo i figli fuori dall’orizzonte del dono, trasformandoli in un bene desiderato ma non primario, a volte un lusso, altre un optional.

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C’è un modo diverso di guardare ai figli, e lo si vede nel fatto che i tassi di fecondità sempre più ristretti stanno interessando sia i Paesi che concedono poco o nulla ai genitori, come gli Stati Uniti, sia quelli con politiche familiari avanzate, come nel Nord Europa. Le ragioni che giustificano il calo delle nascite sono moltissime, ma variano così tanto da sembrare delle scuse: da una parte è la mancanza di lavoro, dall’altra la carenza di nidi, da una parte è la secolarizzazione, dall’altra l’abitudine ai maxi-sussidi, da una parte sono i bassi tassi di occupazione femminile o l’eccessiva disparità di genere, dall’altra i ritmi di lavoro esagerati.

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