di Mariolina Ceriotti Migliarese
Tra le relazioni della vita familiare, ce n’è una che viene malintesa in modo particolare; parlo del rapporto tra i genitori e le persone scelte dai figli come compagni di vita: rapporto spesso bistrattato, tanto che la parola “suoceri” risuona al nostro orecchio quasi come un sinonimo di “persone critiche”, invadenti e sempre pronte a trovare nell’altro qualcosa di negativo.
Il matrimonio di un figlio/a rappresenta nella storia familiare uno snodo importantissimo, perché apre al passaggio di testimone tra le generazioni: segna infatti la nascita di una famiglia nuova, che pur essendo in continuità con le famiglie originarie porta in ciascuna di loro linfa inedita, che può dare nuovo impulso alla storia comune. Si tratta di uno snodo critico con tutte le sue difficoltà, ma insieme di un’occasione ricca di opportunità positive da comprendere e cogliere, se teniamo al bene e alla felicità dei nostri figli.
Possiamo provare a leggere questo passaggio dai diversi punti di vista, per metterne a fuoco criticità e risorse.
Dal punto di vista dei suoceri, il matrimonio del figlio/a segna la necessità di accettare ed elaborare il lutto di una nuova distanza: comunque sia o sia stato il legame, con il matrimonio il figlio stringe una nuova alleanza, che diventerà il perno della sua vita affettiva spostando sullo sfondo l’alleanza parentale. Questo chiede ai genitori di saper fare un passo indietro e di cercare un nuovo assetto relazionale; ridefinire le distanze diventa essenziale, ma richiede tempo: spesso ci sarà una fase transitoria, fatta anche di malinconia per un passato che non può tornare.
A fianco di questa fatica affettiva, spesso percepita più intensamente dalle madri, si profila un’altra difficoltà, percepita anche dai padri: quella di imparare ad accettare e apprezzare l’alterità profonda del nuovo arrivato/a, dando spazio a un modo diverso di intendere le cose piccole e grandi di ogni giorno. La tentazione di pensare “non fa le cose bene” solo perché le fa in modo diverso dal nostro è sempre in agguato, e può farci guardare con diffidenza le scelte della nuova famiglia.
Per i genitori non è facile capire perché i nuovi arrivati mostrino talvolta un atteggiamento di cautela e/o di difesa nei loro confronti: soprattutto se abbiamo aperto loro il cuore come a “nuovi figli”, ci aspettiamo la loro fiducia e la loro diffidenza ci ferisce.
Ma anche i nuovi arrivati hanno le loro difficoltà; diventare famiglia richiede tempo, perché è necessario intrecciare innumerevoli fili fatti di parole, abitudini, modi di fare, ricordi, mescolando le tracce del passato personale con il presente progressivamente condiviso. È per questo motivo che i nostri generi e le nostre nuore hanno bisogno di fissare e proteggere i confini di un “noi” ancora precario, e lo fanno talvolta in modo molto deciso, fino a dare anche l’impressione di un rifiuto nei nostri confronti.
Credo che la strada per un incontro fruttuoso passi in primo luogo dalla capacità di comprendere le dinamiche in gioco, ma richiede soprattutto di guardarci l’un l’altro con un pre-giudizio sempre positivo. Forse dobbiamo tutti mettere in conto con un po’ di leggerezza che i passaggi nuovi costano fatica, e capire che molte incomprensioni apparentemente insuperabili sono solo il frutto della differenza inevitabile dei linguaggi: linguaggi diversi che però possiamo imparare a conoscere e apprezzare in tutta la loro novità e ricchezza.
Fonte: Avvenire