Pubblichiamo l’editoriale di Gilfredo Marengo, professore del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale dei Poveri
Proclamare che «La speranza dei poveri non sarà mai delusa» (Messaggio di Papa Francesco per la III Giornata mondiale dei Poveri – 17 novembre 2019) è gesto oggi singolarmente profetico se si tiene conto che la beatitudine evangelica dei poveri – come osserva Francesco – «appare sempre più paradossale; i poveri sono sempre più poveri e oggi lo sono ancora di più».
Gesto profetico, dunque, tutto alimentato dallo sguardo delle fede che si volge alle drammatiche circostanze del nostro presente, ponendole di fronte al giudizio di Dio.
I vari percorsi con cui la dolorosa esperienza della povertà sembra farla da padrona nelle nostre società incrociano senza scampo il vissuto delle famiglie. Molte, troppe famiglie ne gustano il sapore amaro in tanti frangenti della loro esistenza: mancanza di mezzi adeguati di sussistenza, fragilità delle relazioni, figli separati dai genitori, paura del futuro e tanto altro.
È davanti ai nostri occhi il moltiplicarsi di famiglie “povere” in cui si assiste impotenti a un’aggressione invincibile del loro vissuto: molte si dissolvono e troppi nostri fratelli vivono “senza famiglia”.
Come dice il Messaggio: «Incontriamo ogni giorno famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale ai quali viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?» (n° 2).
Questo triste scenario del nostro tempo richiama le parole della vedova di Zarepta di Sidone al profeta Elia: «Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo» (1Re, 17, 12). Quanto è realistico per molte, troppe famiglie guardare con disperazione al proprio futuro!
Per queste ragioni l’annuale appuntamento della Giornata dei poveri non può che avere nella famiglia un interlocutore di primo piano: essa ha bisogno di essere accompagnata a custodire in sé la speranza che non delude: anch’essa è provocata a lasciarsi sorprendere dall’agire buono di Dio «che “ascolta”, “interviene”, “protegge”, “difende”, “riscatta”, “salva”» (Messaggio, 4).
In proposito non va dimenticato che la cura della famiglia rappresenta uno dei più importanti centri d’interesse dell’agire ecclesiale: il matrimonio e la famiglia vennero indicati dal Vaticano II come il primo dei «problemi più urgenti» di cui farsi carico nell’epoca contemporanea (Gaudium et spes 46-52).
Al presente va riconosciuta la fecondità di quell’indicazione conciliare che ha nutrito tutto il pontificato di Giovanni Paolo II (il Papa della famiglia) ed è stata vigorosamente ripresa dalla stagione sinodale sulla famiglia (2013-2015) culminata con Amoris laetitia di Papa Francesco.
La preoccupazione di discernere i modi più adeguati a questo decisivo impegno ecclesiale ha condotto progressivamente a fare sì che l’agire pastorale nei confronti della famiglia si sia orientato a lasciarsi provocare dal suo vissuto concreto, correggendo qualche enfasi di troppo sulla proposta di un modello di famiglia ideale, custodito da un articolato impianto dottrinale ed etico: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita» (Amoris laetitia 37).
Alla luce di queste preoccupazioni si comprende l’importanza di «un serio avvertimento per le famiglie che si richiudono nella loro propria comodità e si isolano, ma più specificamente per le famiglie che restano indifferenti davanti alle sofferenze delle famiglie povere e più bisognose». Quanto tale richiamo sia decisivo, lo mostra la sua collocazione all’interno di una considerazione della partecipazione all’Eucarestia: «La celebrazione eucaristica diventa così un costante appello rivolto a ciascuno perché “esamini se stesso” al fine di aprire le porte della propria famiglia ad una maggior comunione con coloro che sono scartati dalla società e dunque ricevere davvero il Sacramento dell’amore eucaristico che fa di noi un solo corpo. Non bisogna dimenticare che «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale». Quando coloro che si comunicano non accettano di lasciarsi spingere verso un impegno con i poveri e i sofferenti o acconsentono a diverse forme di divisione, di disprezzo e di ingiustizia, l’Eucaristia è ricevuta indegnamente. Invece, le famiglie che si nutrono dell’Eucaristia con la giusta disposizione, rafforzano il loro desiderio di fraternità, il loro senso sociale e il loro impegno con i bisognosi» (Amoris laetitia 186).
In queste parole si affaccia una lettura stimolante dell’intreccio famiglia e povertà: il prendersi cura dei poveri e dei sofferenti guadagna il ruolo di momento di verifica dell’appartenenza ecclesiale delle famiglie medesime.
Per questi motivi è miope leggere la singolare insistenza del Papa su queste tematiche collocandola in un orizzonte meramente sociologico. Se esiste una relazione intrinseca tra partecipazione all’Eucarestia e il prendersi cura dei poveri, è in gioco la verità stessa dell’esperienza cristiana e della sua costitutiva dimensione missionaria.
Quando una famiglia si muove in questa direzione viene aiutata a non ridurre mai tutta la densità e novità dell’amore, così come è dato di sperimentare nelle speciali relazioni tra uomo e donna e tra genitori e figli: «Una coppia di sposi che sperimenta la forza dell’amore, sa che tale amore è chiamato a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, affinché tutti giungano a sentire ogni essere umano come un fratello […] Le famiglie aperte e solidali fanno spazio ai poveri, sono capaci di tessere un’amicizia con quelli che stanno peggio di loro. Se realmente hanno a cuore il Vangelo, non possono dimenticare quello che dice Gesù: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). In definitiva, vivono quello che ci viene chiesto in modo tanto eloquente in questo testo: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato” (Lc 14, 12-14). Sarai beato! Ecco qui il segreto di una famiglia felice» (AL 183).
In questa prospettiva si supera ogni equivoca separazione tra le dinamiche interne della vita delle famiglie e tutto quanto solo astrattamente può essere considerato “fuori” da essa. Se «quello di Cristo non è amore da telenovela» (Meditatazione a Santa Marta, 31 ottobre 2019), la provocazione che alle famiglie viene dalla Giornata mondiale dei Poveri è un’ottima occasione per investire in percorsi che – senza soluzione di continuità – ne esaltano il protagonismo sociale e i tratti peculiari della propria identità: «Con la testimonianza, e anche con la parola, le famiglie parlano di Gesù agli altri, trasmettono la fede, risvegliano il desiderio di Dio, e mostrano la bellezza del Vangelo e dello stile di vita che ci propone. Così i coniugi cristiani dipingono il grigio dello spazio pubblico riempiendolo con i colori della fraternità, della sensibilità sociale, della difesa delle persone fragili, della fede luminosa, della speranza attiva. La loro fecondità si allarga e si traduce in mille modi di rendere presente l’amore di Dio nella società» (Amoris laetitia 184).
La testimonianza delle famiglie diventa così un contributo prezioso per dare ragione di quanto agli occhi del mondo appare irragionevole: la povertà e l’indigenza possono avere una forza salvifica. Misurarsi con esse si offre a tutti come strada maestra per toccare con mano la presenza operosa del Salvatore del mondo nell’esistenza di ogni uomo e donna.
Lo sguardo profetico di chi proclama che «La speranza dei poveri non sarà mai delusa» interpella e suscita l’operosità di ognuno: il suo tratto profetico non orienta nella direzione di immaginare un futuro utopico dove ogni contraddizione scompaia, ma può diventare il principio generatore di un agire buono in cui i tanti “senza famiglia” possono ritrovare una casa ospitale e le famiglie gustare la bellezza di donare gratuitamente quanto gratuitamente hanno ricevuto (cfr. Mt 10, 8).