Oggi, 19 marzo 2020, solennità di San Giuseppe, vi facciamo dono di un articolo del compianto don Gianni Lavaroni, che lui stesso ci aveva inviato nel dicembre scorso, nella prospettiva di pubblicarlo in questa data. Abbiamo fede che il nostro ringraziamento e il nostro ricordo possano giungergli nella preghiera.

San Giuseppe: un protagonista essenziale nella storia della salvezza portataci da Cristo, forse troppo dimenticato. Da alcuni anni mi impegno a far uscire la figura di questo personaggio dal sotto-scala della nostra devozione popolare, dove mi sembra sia ingiustamente relegato. Noi invochiamo Maria Vergine Immacolata Assunta in cielo, immersa nel mistero della gloria di Dio, gloria piena e definitiva, condivisa con il Figlio da lei partorito come uomo e lo Spirito che l’ha resa feconda; è giusto quindi rivolgersi a Lei per invocarne l’intercessione.

Ma se vogliamo anche imitarla nella nostra concreta vita quotidiana, dobbiamo contemplare quel-lo che le prime comunità cristiane e i testi del Nuovo Testamento ci riferiscono della sua vicenda ter-rena [mi piace far particolare riferimento alle riflessioni/preghiere del vescovo don Tonino Bello, pubblicate nel libretto “Maria, donna dei nostri giorni”]. Ora, Maria Vergine ha potuto vivere il compito affidatole dal Signore anche e soprattutto grazie alla “familiarità” di vita con il falegname Giuseppe. Una bella preghiera della devozione popolare, imparata fin dall’infanzia, ripete così: “Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia,… assistetemi nell’ultima agonia,… spiri in pace con voi l’anima mia”.

Il ricupero di questa devozione è prezioso nella nostra epoca, in cui la famiglia soffre in particolare per una massacrante volontà di esperienze del tutto inedite, se non anche assurde.
Personalmente, in ogni occasione opportuna sottolineo questo: il Signore, quando ha voluto invia-re suo Figlio a riaprire all’umanità l’accesso al suo progetto iniziale, ha chiesto la libera collaborazio-ne di qualcuno del popolo da Lui preparato ad accoglierlo (il Vecchio Testamento). Però non ha scelto una ragazza: ha chiesto la collaborazione consensuale di una coppia di “promessi sposi”!

Mi ha sempre colpito il fatto che il Signore, se pure in forma diversa, abbia chiesto separatamente il consenso sia a Maria che a Giuseppe. È interessante leggere in parallelo i due brani evangelici, che hanno un percorso analogo (obiezione, perplessità, assicurazione rasserenante, consenso fiducioso): Luca 1,26-38 (l’annunciazione a Maria) e Matteo 1,18-25 (il sogno di Giuseppe).

All’inizio, la storia della salvezza vede la convergenza fondamentale di due “sì”, espressione di fede libera e responsabile di Maria e Giuseppe; ed è Giuseppe che darà al Bambino il nome di Gesù, garantendogli l’inserimento nella discendenza davidica e quindi nella storia della salvezza, ben conosciuta e condivisa da parte dei due protagonisti, che i Vangeli ci presentano come fedeli “devoti” sia nel frequentare la sinago-ga, sia nella vita personale (a proposito, mi piace ricordare l’atteggiamento di Gesù al Giordano: per ricevere il battesimo da Giovanni, si è messo in fila tra la gente).

E mi piace considerare anche il fatto che direttamente i Vangeli non ci riferiscono parola alcuna di San Giuseppe. Però: siccome Giuseppe ha avuto altri tre “sogni” (messaggi angelici), di cui ci par-la Matteo (2: 13, 19 e 22b), significa che lui ne fatto parola con qualcuno, ovviamente quanto meno con Maria! Quindi di lui il Vangelo indirettamente ci riferisce per lo meno queste sue confidenze. Ciò fa capire quanto intenso ed esemplare sia stato il dialogo sponsale tra Maria e Giuseppe, che in concreto si dimostra tanto necessario quanto impegnativo nella realtà delle coppie di oggi.

Ma desidero anche fare un riferimento specifico, a proposito della loro piena comunione di vita. San Giuseppe non ha solo rispettato l’impegno verginale della sposa Maria, non solo, gli ha fatto da copertura, lo ha custodito, ma lo ha persino condiviso facendolo anche proprio: nella sequenza del “Dio sia benedetto”, la penultima invocazione recita “Benedetto san Giuseppe, suo castissimo sposo”.

Questa è la culla in cui lo Spirito Santo ha scelto di collocare Gesù, il Figlio del Padre per noi in-carnato, morto e risorto. Ecco perché auspico un intenso ricupero di seria devozione verso san Giuseppe, in sintonia equilibrante con la diffusissima e preziosa devozione verso la Madonna; e ritengo possa essere esemplare per le nostre famiglie la devozione alla famiglia di Nazareth, da contemplare in atteggiamento oran-te, arricchito anche con una realistica immaginazione per quanto i Vangeli non riferiscono.
G. L.