René Frydman, il ginecologo che in Francia fece nascere nel 1982 la prima bimba concepita in provetta, smaschera nel suo libro-verità tutti gli eccessi del mercato della procreazione

«Volevo fare un bilancio, ma soprattutto guardare al futuro. Nel campo della procreazione ci sono buone evoluzioni, ma altre, problematiche, richiedono una riflessione urgente. Come ginecologo, mi preoccupo della vera vita, non degli slogan». In Francia il professor René Frydman è una celebrità dal 1982, quando divenne il “padre scientifico” di Amandine, prima bambina transalpina nata con la fecondazione assistita. Ma oggi, con l’intenso volume La Tyrannie de la Reproduction (Ed. Odile Jacob), intende mettere in guardia sui rischi ed eccessi crescenti del presunto “diritto al figlio”, fra spinte tecniche e nuovi business: «Cerco di spiegare che c’è un lato positivo e uno negativo in molte pratiche. L’autoconservazione degli ovociti, ad esempio, non funziona sempre e non è la panacea, anche se è consigliato preventivamente in particolare per le donne costrette a sottoporsi a trattamenti per il cancro, che colpiscono la produzione di gameti. Con il tempo ho compreso quanto sia importante coltivare la chiarezza e riflettere sui limiti etici. Ciò che era invisibile oggi è visibile. Ciò che era intoccabile oggi è manipolabile. Ma quanto è possibile non è sempre auspicabile».

Perché ha scelto un titolo così forte, parlando di “tirannia della riproduzione”?
Ogni situazione d’infertilità è complessa. In certi casi si vuole un figlio a ogni costo, anche finanziario, ma non basta schioccare le dita per realizzare un desiderio. Lungo la mia carriera ho sempre più riflettuto su questa sorta di ossessione, talora anche maschile, che può persino sfociare in forme d’accanimento. Ho visto tanti esaurirsi, distruggersi, dimenticare la vera vita. Molti si lasciano tiranneggiare dal bisogno di rispondere a una richiesta sociale, coniugale, familiare, economica. Ho visto donne, prese in questo vortice chiuso, che dopo una fecondazione in vitro faticosamente riuscita hanno finito persino per abortire.

Lei si schiera da sempre risolutamente contro la maternità surrogata. Perché?
Comprendo i desideri di ogni coppia, e in proposito su molti media è sempre questo versante che viene messo in risalto. Ma molto spesso la surrogata è praticata a scapito di un’altra persona: la donna chiamata a separarsi dal bambino e firmataria di un contratto che è un’appropriazione della vita altrui, conducendo all’asservimento e allo sfruttamento. Come nel caso della prostituzione, non mi convince affatto l’argomento delle donne che sarebbero libere di scegliere. Tutt’attorno si è costituita una sorta di mafia onnipresente di avvocati e medici, con la violazione problematica di tanti princìpi, come quello del divieto di affittare o vendere un corpo. Se si accetta questo, cosa può impedire di passare in fretta alla vendita di organi, un rene o un occhio, e così via? Si entra in una zona di commercializzazione del corpo, in particolare della donna, di assoggettamento dell’altro, di perdita della dignità.

Fra l’altro, lei ricorda tutte le nuove ricerche sulla relazione simbiotica fra corpo della madre e nascituro…
Sì. Ed è pure questo a evidenziare certe contraddizioni flagranti. Quando si ricorre al dono di ovociti da parte di un’altra donna si dice alla donna che conduce la gravidanza che è la madre, proprio in nome dei legami biologici stretti durante nove mesi. Nella surrogata si sostiene esattamente il contrario. Nonostante i legami durante la gravidanza, si dice alla partoriente che non è la madre. C’è dunque qualcosa che non va. Si distorcono i fatti in funzione dell’ideologia che si vuole difendere.

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