La scuola paritaria non vuole privilegi, ma che le sia riconosciuto l’importante servizio pubblico che offre e che ruota attorno a un’utenza complessiva di circa un milione di persone, se ai 900 mila allievi aggiungiamo i 100 mila dipendenti, ripartiti su 12 mila scuole. A minarne la sopravvivenza, più che il Covid-19, è una sorta di discriminazione culturale, che impedisce di riconoscere loro piena cittadinanza. Ne porta traccia un vocabolario che ancora le considera “private”, scuole di classe, diplomifici per asini d’oro. Questo pregiudizio ideologico segna un primato, un’eccezione nazionale, che non si riscontra più nemmeno nella laica Europa, dove il muro è caduto e il valore culturale costituito dalle paritarie è riconosciuto e apprezzato

Il linguaggio della guerra li liquida come “danni collaterali”, conseguenze direttamente forse non volute, ma comunque dai costi pesanti per la popolazione. La situazione che viviamo non fa eccezione: l’emergenza sanitaria ha subito preso il volto di un’emergenza economica, con ricadute enormi sulle famiglie, a partire da quelle già prima provate dalle difficoltà o al limite della sussistenza. Nell’effetto domino finisce inevitabilmente coinvolta anche la scuola paritaria, alle prese con un’ipoteca che ne compromette la stessa possibilità di riaprire i battenti a settembre. Tutta colpa della pandemia, dunque? Le cose, lo sappiamo, stanno in maniera diversa. La tempesta che sta flagellando il Paese s’è abbattuta su un sistema scolastico che già annaspava sul piano della sostenibilità economica.

Molte scuole paritarie sono esposte a debiti accumulati negli anni, a fronte di rette non sufficienti a coprirne i costi; debiti affrontati con passione, dedizione e professionalità, in nome di un progetto educativo e di un programma formativo ai quali si ostinano a non voler rinunciare. Prima ancora, queste scuole soffrono la faziosità con cui sono guardate. A minarne la sopravvivenza è, infatti, una sorta di discriminazione culturale, che impedisce di riconoscere loro piena cittadinanza. Ne porta traccia un vocabolario che ancora le considera “private”, scuole di classe, diplomifici per asini d’oro. Questo pregiudizio ideologico segna un primato, un’eccezione nazionale, che non si riscontra più nemmeno nella laica Europa, dove il muro è caduto e il valore culturale costituito dalle paritarie è riconosciuto e apprezzato. In casa nostra, paradossalmente, non passa nemmeno il criterio dell’investimento: è risaputo che all’anno fanno risparmiare allo Stato oltre 7 mila euro per alunno, per cui la prospettiva di una scomparsa delle scuole paritarie costituirebbe un aggravio di diversi miliardi di euro sul bilancio della collettività.

Leggi tutto l’articolo di Ivan Maffei pubblicato su “Vita Pastorale” di giugno 2020 e ripreso da Avvenire

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