«Alla sera della vita. Riflessioni sulla fase terminale della vita terrena» è il documento elaborato dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute della Cei sotto la guida del direttore don Massimo Angelelli, discusso nella Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute (presieduta dal vescovo Carlo Redaelli) e ora diffuso come strumento pastorale per tutti (pubblicato da Editoriale Romani di Savona, disponibile anche in ebook). «Vuole essere – spiega don Angelelli – una riflessione serena e rispettosa del vissuto del sofferente, partendo dal suo essere persona e offrendo la disponibilità per un accompagnamento umano sereno e partecipativo». In quattro capitoli affronta esaurientemente tutte le tematiche e i problemi che l’argomento fine vita solleva sempre e particolarmente in questi ultimi anni: dall’inesistenza di un diritto a morire alla relazione medico-paziente; e ancora nutrizione e idratazione artificiali, cure palliative, morte encefalica, disposizioni anticipate di trattamento e obiezione di coscienza, fino al senso della sofferenza nella speranza cristiana.

Premesse antropologiche e morali
Dal riconoscere che «la persona è un bene in sé e per sé», il cui concetto «è coestensivo a quello di individuo umano», si passa a esaminarne la «dignità teologale» che «è alla base del carattere sacro della vita». «C’è pertanto – continua il documento – un diritto alla vita, alla sua tutela e promozione. Non un diritto sulla vita. Di qui la sua indisponibilità e inviolabilità anche per il soggetto, che priva di senso e delegittima ogni diritto di morire. Nei confronti delle persone non si ha il potere che si esercita sulle cose. È qui lo snodo antropologico ed etico che sancisce l’impossibilità di ogni diritto a morire: in questo riconoscimento della dignità propria e unica della persona. Senza questa, la vita si risolve in un bene di consumo» all’origine di quella cultura dello scarto, spesso denunciata da papa Francesco.

Continua a leggere l’articolo di Enrico Negrotti su Avvenire