di Adriano Favole
La nota antropologa francese sottolinea: «È un’istituzione in costante mutazione e rinnovamento. Oggi, con la pandemia, emerge anzitutto l’importanza dei legami intergenerazionali»
Martine Segalen, una delle più note antropologhe francesi, ha insegnato a lungo a Paris-Nanterre e ha diretto la rivista ‘Ethnologie Française’. Dopo un soggiorno negli Stati Uniti e un viaggio rivelatore della sua passione antropologica in Messico, Segalen si è formata in Francia sotto la guida di Roger Bastide ed è stata molto influenzata da Jack Goody, grande studioso della parentela. I suoi interessi, in effetti, si sono diretti fin dalle origini sulla famiglia, sulla parentela e su rapporto tra le generazioni, con una ricerca in Bretagna che l’ha indirizzata verso l’antropologia dell’Europa, con un confronto costante fra sud e nord Europa per quanto riguarda le culture della riproduzione, le forme di famiglia, il matrimonio, i riti. In italiano ha pubblicato con Il Mulino Riti e rituali contemporanei. Proponiamo un estratto dall’intervista a Martine Segalen di Adriano Favole per i ‘Dialoghi sull’uomo’ di Pistoia.
Al centro del suo ultimo libro, Avoir vingt ans en 2020, ci sono i giovani. Quale ambiente lasciamo loro in eredità? Riusciranno a correggere le distorsioni dell’Antropocene? Ed è dai giovani che possiamo aspettarci una rivoluzione in materia di ambiente?
Devo dire che abbiamo cominciato a scrivere questo libro ormai più di due anni fa, ma appena è uscito, è scoppiata la pandemia. Ora, tutto ciò che è accaduto non ha potuto che essere confermato dalle analisi che avevamo svolto. Infatti, nel libro abbiamo mostrato innanzitutto – sempre a proposito di legami intergenerazionali – l’enorme differenza fra i giovani che possono essere sostenuti dalla famiglia e quelli che non possono, che si tratti di giovani disoccupati o di giovani studenti, perché, quest’anno abbiamo visto anche dei giovani in fila per mangiare. Dunque abbiamo visto quella enorme differenza, e – per contro – la grande importanza dei legami intergenerazionali. Peraltro si è parlato di ‘generazione scatenata’, perché si tratta di una generazione nata con Internet in mano, una generazione orizzontale, una generazione che, a ragione, ritiene che i saperi che avevamo oggi non valgano più, una generazione che ce l’ha con noi – non individualmente, ma a noi come vecchi – perché lasciamo loro in eredità un pianeta molto deteriorato. Ormai si può dire che in seno a ogni famiglia vi sia una Greta Thunberg, perché in seno a ogni famiglia ci sono i nonni – che vengono chiamati ‘ok-boomers’, e vengono rispediti nella loro bolla – e i nipoti, vi è sempre – e lo vedo anche nella mia stessa famiglia – qualcuno che è vegano, qualcuno che s’impegna a favore dell’ambiente, dunque è proprio da questi giovani che possiamo aspettarci una resurrezione, e hanno tanto più merito, dopo questa pandemia interminabile che ha fatto loro subire la didattica a distanza davanti al computer, e ancora, quando non avevano una famiglia che li sostenesse, delle condizioni molto difficili. Io effettivamente nutro una grande fiducia in questa generazione, e penso che senza di loro e senza la loro energia non ce la caveremo. Detto questo, quando al giorno d’oggi guardo che cos’è la politica in Francia – una politica che ti dà l’impressione di essere ancora nella Terza o nella Quarta Repubblica – è di-spe-ran-te! Quindi non bisogna stupirsi: i giovani hanno altri mezzi politici di esprimersi attraverso i social network, e in un modo o nel-l’altro, sono loro che prenderanno il potere, penso, abbastanza rapidamente, anche perché non abbiamo molto tempo da aspettare, capisce? Quindi io chiedo loro perdono per essere appartenuta a questa generazione che avuto la fortuna di aver potuto godere dei ‘Trente Glorieuses’ (1945-1975), di una relativa facilità di trovare lavoro, mentre per loro chiaramente è molto più difficile. Ma forse adesso il balzo successivo alla pandemia consentirà all’economia di ripartire e a loro di fare la loro strada e di riparare l’Antropocene.
Lei ha parlato spesso di famiglia. Ha avuto l’impressione che la pandemia abbia modificato la vita familiare? Che ruolo ha avuto la famiglia in questa lunga pandemia?
Avrebbe potuto cambiare in meglio, la famiglia, per esempio sul piano della distribuzione dei ruoli fra maschi e femmine, dato che si parla tanto di gender? Purtroppo, abbiamo visto che le donne facevano non soltanto il doppio, ma il triplo del lavoro, perché non soltanto lavoravano fuori casa, ma dovevano seguire i figli nella didattica a distanza, fare la spesa e cucinare. Sappiamo inoltre che negli ambienti più fragili vi è stato un aumento notevole delle violenze coniugali, perché tutto dipende dalle circostanze, cioè che si viva in 4 o 5 in un appartamento piccolo, o al contrario in un ambiente spazioso. Quando c’era il problema che marito e moglie lavorassero ciascuno al proprio computer, si è visto che era il marito a prendersi lo studio, mentre la moglie andava a lavorare in cucina e nel frattempo sorvegliava i figli. Dunque, su questo piano, le caratteristiche tradizionali della famiglia, semmai, sono state rafforzate in senso negativo. Se vogliamo, i sociologi degli anni ’80 e ’90 si erano occupati soprattutto delle trasformazioni della famiglia che si erano susseguite: si divorzia, ci sono le famiglie ricomposte: che cosa sono?, e poi ci sono le famiglie monoparentali: che cosa sono?, e poi quelle omoparentali (ma questo è tutt’un altro argomento)? Invece avevano lasciato completamente da parte – e qui torniamo a Jack Goody – l’importanza dei legami intergenerazionali. Adesso però abbiamo constatato quanto i nipoti e i nonni abbiano sofferto, nelle fasi più dure della pandemia, di non potersi vedere e di non potersi abbracciare. E naturalmente anche sul piano economico. Claudine Attias-Donfu aveva fatto anni fa una grande inchiesta che ha mostrato fino a che punto i fondi pubblici – perché come sapere la Francia è un Paese generoso sul piano delle pensioni – siano stati ridistribuiti all’interno del circuito familiare, in generale verso i nipoti. Ed è questo che ha fatto la differenza nelle nostre famiglie in Francia, poiché, così come ho parlato della gioventù – ma in Francia ci sono tanti tipi diversi di gioventù – così anche, molto più che il genere, a me sembra siano le condizioni socioeconomiche delle famiglie che hanno fatto la differenza in Francia. Mi sembra quindi che vi sia stata, da parte dei media, una sorta di riscoperta – dico riscoperta perché è qualcosa che già esisteva – del fatto che la famiglia – un’istituzione in costante mutazione: adesso non soltanto la gente non si sposa più, ma il 60% dei figli nasce fuori dal matrimonio, i genitori e i nonni possono soltanto accettare con piacere tutte queste grandi trasformazioni della famiglia – la famiglia, dicevo, è completamente diversa da com’era all’epoca del generale De Gaulle. Ebbene, questa famiglia in quanto istituzione costantemente rinnovata, è davvero – sarà anche sciocco usare questo termine mah… – un pilastro della società: se non ci fosse la famiglia, sarebbe ancora più grave, a mio parere. (traduzione di Marina Astrologo)
Fonte: Avvenire