Kinsugi

di Mariolina Ceriotti Migliarese

«Riparare» è un termine interessante che indica azioni diverse: si può riparare un oggetto, per esempio, ma si può anche riparare un torto, riparare a un errore, o riparare qualcuno da qualcosa. Si tratta però di un termine che, nella pratica, usiamo sempre di meno, proprio a partire dal nostro rapporto con gli oggetti: non solo l’azione di riparare è diventata inusuale nella nostra vita, ma la stessa idea, il concetto stesso del riparare ciò che si rovina o che invecchia ci appare oggi come una vera e propria perdita di tempo; meglio sostituire appena possibile ciò che si rompe, col vantaggio di avere sempre qualcosa di nuovo e che risponde di più alle nostre esigenze.

Del resto, un numero sempre maggiore delle cose di cui oggi ci serviamo è fatto in modo che la riparazione sia impossibile, oppure che richieda un intervento tecnico fuori dalla portata dei più: quando qualcosa si rompe, non è più prevista la possibilità che chiunque, con un po’ di pratica, possa imparare a metterci le mani, né che a qualcuno interessi davvero aggiustare ciò che si è rotto o guastato.

Aggiustare qualcosa richiede tempo, talvolta anche molto tempo, e quello usato per riparare non sembra più un tempo ben speso: una cosa rotta non ritornerà comunque mai nuova, e dunque è meglio disfarsene e sostituirla. Eppure, l’idea di ” riparare” qualcosa è interessante, perché contiene in sé il presupposto che possa valere la pena dedicare del tempo alla cura delle cose; implica il riconoscimento di un valore: non tanto e non solo un valore oggettivo e quantificabile, come potrebbe essere il costo dell’oggetto, quanto piuttosto un valore di tipo relazionale.

Si ripara qualcosa che ci fa piacere conservare, qualcosa cui siamo legati, qualcosa che ha per noi una speciale funzione oppure che fa parte del nostro mondo in modo significativo; qualcosa che vogliamo far durare nel tempo, tenere con noi, e che dunque non è intercambiabile e non può essere facilmente sostituita. Riparare è anche un modo di non sprecare: un segno di sobrietà che esprime un atteggiamento di rispetto per ciò che ci circonda. È un modo per esercitare competenze operative nelle quali sono necessarie la pazienza, la precisione, ma anche l’inventiva; per aggiustare qualcosa abbiamo bisogno delle nostre mani, diventate oggi troppo spesso imprecise e frettolose.

L’idea di riparazione è poi in stretta continuità con quella di manutenzione: tenere bene le cose, accorgersi dei primi segni di usura, permette di non dover intervenire quando è ormai troppo tardi. Ma non è solo il mondo degli oggetti a soffrire il nostro disinteresse per manutenzione e riparazione: lo stesso disincanto ha investito il mondo ben più importante delle nostre relazioni. I nostri rapporti infatti, soprattutto quelli di maggiore prossimità, sono soggetti all’usura in modo ancora più profondo dei nostri oggetti, e ancora più dei nostri oggetti avrebbero bisogno di quell’attitudine paziente e creativa che permette una costante manutenzione e riparazione. Il rapporto di coppia, soprattutto, ne ha un estremo bisogno, perché le piccole e grandi incomprensioni, i piccoli e grandi torti, le trascuratezze e gli errori quotidiani nei quali tutti cadiamo costituiscono una fatica che mette alla prova e scoraggia.

Se abbiamo a cuore la nostra relazione, dobbiamo essere capaci anche di tenerla nella mente, di dedicarle tempo, pensieri e progetti: dobbiamo occuparcene proprio come si fa con una cosa di cui si riconosce il valore. Dobbiamo riflettere in modo creativo su come averne cura; dobbiamo prendere consapevolezza del fatto che manutenzione e riparazione sono necessarie perché la nostra vita insieme si faccia storia che dura nel tempo. La pigrizia, la trascuratezza, o una malintesa idea di quieto vivere che porta a sfuggire il confronto con le difficoltà possono purtroppo portarci lontano l’uno dall’altra: così lontano da rendere poi quasi impossibile ritrovarsi.

Fonte: Avvenire