di Mariolina Ceriotti Migliarese

La famiglia vive nel tempo e ha un suo ciclo vitale, che comincia con l’incontro tra due storie sempre diverse tra loro: anche se la persona di cui ci innamoriamo provenisse dal nostro stesso ambiente, la sua e la nostra famiglia d’origine rappresentano infatti due mondi differenti, con le loro consuetudini, pensieri, valori, modi di interpretare la vita. Dall’incontro e dallo scambio di una promessa prende il via una storia inedita, che affronta la sfida di dare origine alla nuova famiglia: un piccolo universo affettivo-sociale alla ricerca di un’identità propria, che come ogni identità ha bisogno di tempo per definirsi, rafforzarsi, raggiungere la stabilità.

In questo processo ciascuno dovrà cambiare: qualcosa della storia e delle abitudini familiari verrà accolto nella “casa comune”, qualcosa verrà lasciato andare, qualcosa verrà conservato ma modificato in modo personale. La coppia che si vuole bene riesce a integrare nella propria storia quello che per ognuno dei due ha più valore, ma sa anche lasciare andare quello che l’altro non può condividere; in questo modo si introducono nella vita comune tante piccole consuetudini che provengono dalle storie personali, ma si generano anche abitudini nuove: piccoli rituali costruiti insieme. È così che poco alla volta si forma quella trama sottile che dà origine alla percezione indefinibile dell'”essere a casa”, e che fa della famiglia un luogo così unico e speciale.

La nascita di un figlio si inserisce in questa trama: i nostri bambini nascono e crescono in un piccolo universo costituito di cose allo stesso tempo concrete, affettive e simboliche. Il loro mondo è fatto dalla mamma e dal papà, singolarmente, ma soprattutto in coppia; ma è fatto anche dalla loro casa e dalle loro abitudini. È un mondo legato ai ritmi che scandiscono la giornata e ai modi in cui si festeggiano le ricorrenze; un mondo che si nutre dei rapporti con gli amici e i parenti di entrambi; un mondo di rituali familiari consolidati e condivisi. Il mondo dei nostri figli ha il colore del nostro modo di parlare, di scherzare, persino di litigare.

Questo è quello che i nostri figli conoscono; questo è il loro mondo, e non ne vogliono un altro, nemmeno quando nella famiglia sono presenti difficoltà e imperfezioni. Desiderano che le cose funzionino, che il clima sia sereno, che i genitori si vogliano bene. Ma devono essere proprio quei genitori e proprio in quel mondo, quello in cui mamma e papà hanno preso entrambi la responsabilità di farli nascere. Per questo la loro separazione equivale per i figli sempre al tradimento di una promessa implicita, contenuta nel fatto stesso di essere una famiglia: persone tenute ad una responsabilità reciproca e ad una solidarietà di amore che niente e nessuno ha il diritto di spezzare.

Come adulti, davanti ad una possibile separazione siamo abituati a mettere l’accento soprattutto sugli aspetti affettivi nostri e dei nostri figli, e questo ci porta a pensare che la paura più grande dei bambini riguardi la possibilità di perdere l’amore e la presenza di uno o dell’altro genitore; quello che invece davvero li sgomenta è la prospettiva (realistica e inevitabile) di veder distruggere con la separazione tutto il loro mondo di riferimento: un mondo che non può essere suddiviso in due parti, quella di mamma e quella di papà, perché non appartiene né all’uno né all’altra, ma solo alla famiglia nel suo insieme. Può dunque solo venire strappato, e scomparire per sempre. Forse una maggiore consapevolezza del vissuto dei nostri figli potrebbe insegnarci talvolta la via della riconciliazione e del perdono, e aiutarci a non buttare via, nei momenti difficili, il dono inestimabile della nostra famiglia.

Fonte: Avvenire