di Luciano Moia
Convegni, sussidi per educatori, corsi di alta formazione. Il grande impegno dell’Università Pontificia Salesiana per la formazione all’affettività. Parla il rettore, don Andrea Bozzolo
L’emergenza educativa che stiamo attraversando impone di avviare percorsi strutturati e consapevoli di educazione sessuale. Dobbiamo farlo ”senza infingimen-ti”, come ha detto il presidente della Cei, cardinale Zuppi, cioè guardando in faccia alla realtà, confrontandoci con le speranze e le aspettative dei giovani. «Con empatia e disponibilità », aggiunge don Andrea Bozzolo, rettore della Pontificia Università Salesiana. «Senza toni giudicanti e senza linguaggi enfatici», come purtroppo è avvenuto troppe volte in passato, quando i timidi tentativi di educazione all’affettività e alla sessualità si riducevano all’elenco dei divieti e dei permessi. Oggi tutto è diverso. L’impegno dei salesiani su questo fronte è davvero imponente. Si è conclusa una ricerca triennale che sarà approfondita in un convegno nella prossima primavera, sta partendo un corso di alta formazione, oltre ad altre iniziative di cui abbiamo già dato conto nei mesi scorsi.
Lunedì, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei, il cardinale Matteo Maria Zuppi ha parlato della necessità dell’educazione affettiva dei giovani e ha sollecitato i credenti a trovare il coraggio “di parlare di sessualità senza infingimenti, nella prospettiva dell’integrazione tra vita umana e vita spirituale”. Riconosce in queste sollecitazioni il senso delle iniziative avviate dall’Università Salesiana?
L’invito ad impegnarsi nell’educazione affettiva e sessuale delle giovani generazioni viene già dal Concilio. La Dichiarazione Gravissimum educationis ne parla esplicitamente e Papa Francesco in Amoris Laetitia riprende questo appello. Dobbiamo però chiederci onestamente se le nostre istituzioni educative abbiano assunto questa sfida in tutto ciò che essa comporta. Non basta offrire ai ragazzi un’informazione corretta e alcune regole di comportamento. Hanno bisogno che li accompagniamo nell’esperienza quotidiana a dare un nome alle emozioni, a riflettere sulle loro esperienze, a sviluppare il senso critico davanti alla molteplicità di stimoli e messaggi da cui siamo circondati. E lo desiderano più di quanto possiamo immaginare. In questo senso, come afferma il cardinale Zuppi, l’educazione affettiva ha certamente a che fare con la vita interiore, con il gusto per la preghiera e per l’autenticità dei rapporti. Ma senza spiritualismi. Corpo e affetti non sono luogo di applicazione di una spiritualità appresa altrove, ma lo spazio in cui imparare a fare esperienza di Dio. Per quanto ferita dal peccato, l’energia di eros è un dono dello Spirito Creatore, che abita i nostri corpi come un tempio. Per questo è necessario un apprendistato del linguaggio del corpo, che aiuti a cogliere la profondità simbolica dei nostri gesti di amore.
Quali sono gli “infingimenti” che non permettono ai giovani di scorgere il significato autentico della sessualità?
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Qual è la responsabilità di noi adulti per questa profonda confusione di significati? Abbiamo dimenticato le parole per dirlo o forse anche le nostre convinzioni andrebbero riviste con il coraggio di fare autocritica?
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Affronterete il tema delle convivenze, del digitale, della pornografia e di tanto altro ma, parlando di giovani e sessualità qual è l’aspetto più problematico emerso nella vostra ricerca?
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Sul tema dell’accompagnamento dei ragazzi e delle ragazze LGBT ritiene che la pastorale debba aprirsi alla considerazione di quanto emerge dalla ricerca scientifica per quanto riguarda orientamento e identità sessuale, soprattutto in riferimento all’esigenza di considerare questi aspetti dimensione profonda della persona e non esito di una volontà di autodeterminazione?
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Il corso di alta formazione che andrete e proporre dopo il convegno del prossimo marzo, punta a formare educatori competenti nell’accompagnamento affettivo dei giovani. Come immaginate questa proposta?