di Luciano Moia

La psicologa Raffaella Iafrate: «Un percorso ben articolato su affettività e sessualità può gettare le basi per la costruzione di rapporti più sani perché più rispettosi dell’altro/a»

Star in questo caso non significa stella, ma sexuality teaching in the context of adult responsibility, cioè educazione sessuale in un contesto di responsabilità adulta. Anche se la stella a cinque punte che è il logo del programma Teen Star indica in modo sintetico altrettanti ambiti di approfondimenti – fisico, emozionale, intellettuale, sociale e spirituale – importanti per indagare quella complessa realtà che è la sessualità umana. Teen Star è un progetto internazionale di educazione all’affettività e alla sessualità degli adolescenti. Tema di drammatica e urgente attualità alla luce della lunga catena di femminicidi alla cui radice, secondo molti esperti, ci sarebbero, tra altre cause, allarmanti situazioni di analfabetismo affettivo oltre alla manifestazione patologica di un maschilismo che pretende da sempre di controllare il corpo della donna.

Ne parliamo con Raffaella Iafrate, docente di psicologia sociale e prorettrice dell’Università Cattolica. Oltre che docente di psicologia dei legami familiari e di psicologia delle relazioni interpersonali e sociali.

Un corso ben costruito di educazione all’affettività e alla sessualità può davvero gettare le basi per una relazione di coppia rispettosa delle differenze di genere e quindi ridurre il rischio che un’incomprensione o un fallimento sfocino in atti di violenza?

Sicuramente un corso non può prevenire tutte le derive che si possono verificare nelle relazioni affettive, ma, quando mette al centro la relazione, può effettivamente “gettare le basi” per la costruzione di rapporti “sani”. Educare alla relazione è infatti educare al rispetto dell’altro come persona. Educare all’affettività non significa solo soffermarsi sui tecnicismi, sul come fare, ma soprattutto riflettere sul perché, sui fondamenti del comportamento umano. Perché dovrei rispettare l’altro? Per essere umano e riconoscere l’altro nella sua umanità (che è un suo diritto fondamentale). Ed essere umano significa sostanzialmente essere in relazione, perché siamo originati da una relazione e cresciamo e ci umanizziamo grazie alle relazioni. Il ripiegamento narcisistico e autoreferenziale è una sconfitta della nostra umanità e porta alla deumanizzazione dell’altro.

Da dove nasce la violenza che genera i femmicidi? Quali sono gli aspetti educativi su cui dovremmo insistere con maggior energia per contribuire ad arrestare questa deriva?

[…]

Come mai c’è bisogno di un percorso specialistico e non è più sufficiente la testimonianza dei genitori da cui dovrebbero derivare esempi concreti di quei valori fondati sul rispetto reciproco indispensabili per impostare una buona relazione?

[…]

E la scuola, a cui adesso si vorrebbero delegare percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità con il progetto presentato dal ministro Giuseppe Valditara?

[…]

In cosa si differenzia il programma Teen Stars rispetto alle varie proposte esistenti?

[…]

Prendete in considerazione anche gli aspetti legati alla cosiddetta sessualità “non binaria”?

[…]

Il programma Teen Star chiede ai ragazzi di riflettere con attenzione sulle “parole delle relazioni”, al di là di tante semplificazioni che sono il frutto anche delle abitudini desunte dai social. In caso contrario qual è il rischio?

[…]

Perché è importante accompagnare i giovani a considerare una diversa idea di corpo?

Negli anni si è andata consolidando sempre più una prospettiva individua-listico narcisistica abbinata a un incoraggiamento costante a vivere “qui ed ora” le proprie emozioni. Il risultato è la negazione, o quantomeno il disconoscimento dei bisogni dell’altro da sé. Anche il corpo, che paradossalmente sembra al centro del nostro accudimento, si è trasformato in un oggetto narcisistico di cui godere. Parlare di corpo “in relazione” significa invece introdurre l’idea di corpo inteso come “limite”, “confine”. È proprio su questo limite intrinsecamente umano che è possibile interpretare il corpo come mediatore tra il sé e l’altro, come potente strumento di comunicazione.

Un tempo in ambito affettivo i giovani adottavano i modelli comportamentali dei genitori. Oggi perché non funziona più così?

I giovani di oggi avvertono più delle generazioni passate il bisogno e il desiderio della verità. Lo stereotipo dell’autorità con loro non funziona e sono maggiormente inclini a “smascherare” ciò che non è autentico. Occorre essere credibili, coerenti e autorevoli con loro, soprattutto quando si trattano temi tanto delicati, nei confronti dei quali – tra l’altro – i ragazzi sembrano essere disposti a un approccio sereno e privo di pregiudizi. Non possiamo più permetterci di veicolare essenzialmente concetti e contenuti… Per dirla con le parole di Giorgio Gaber: “Non insegnate ai bambini. Ma coltivate voi stessi il cuore e la mente”.

Leggi tutta l’intervista su Avvenire