di Luciano Moia

La psicologa Maria Pia Colella: stiamo crescendo una generazione di giovani adulti che rischiano di rimanere sempre bambini. I tormenti del corpo specchio di un disagio più profondo

Accompagnare i giovani alla crescita significa aiutarli a fare chiarezza con la propria identità, a fare i conti con il proprio corpo e con i suoi limiti temporali, spaziali, relazionali, a comprendere il senso di una sessualità di cui va messo in luce il perché più che il come. Una fatica in cui educatori e genitori dovrebbero rivedere l’approccio per non rischiare di apparire inadeguati o addirittura dannosi. Lo spiega Maria Pia Colella, psicologa e psicoterapeuta che da anni si occupa di formazione dei giovani e che sarà tra i relatori al Convegno nazionale di pastorale giovanile del prossimo mese con un intervento proprio sull’accompagnamento all’età adulta.

Perché accompagnare un figlio a diventare adulto significa anche – e forse soprattutto – aiutarlo a scoprire il senso dell’affettività e la bellezza delle relazioni?

Credo sia importante chiarire il significato dell’espressione “diventare adulti”, dell’adultità. Non si tratta soltanto di una crescita che riguarda l’evoluzione fisica. Diventare adulti vuol dire portare alla massima espressione, oltre al fisico, la sfera affettiva, quella relazionale e spirituale. Se proprio dovessimo concentraci su un aspetto dell’adultità dovremmo puntare sulla dimensione affettiva e relazionale, cioè sulla crescita del cuore, che ha nulla di mieloso, ma riguarda il nucleo centrale di ciascuno di noi perché interferisce direttamente con il pensare, l’agire, il relazionarsi. Si pensa erroneamente che alla base di tutte queste funzioni si siano gli aspetti cognitivi. Invece tutto parte dalla sfera emotiva, che è più profonda. Educare all’affettività e alle relazioni significa quindi non fermarsi agli aspetti superficiali, ma curare l’interiorità.

In questo impegno educativo quali sono gli errori che, come genitori e come educatori, dobbiamo cercare di evitare?

L’errore più grave è dare per scontata la conoscenza dei figli. Genitori si diventa. I ragazzi che arrivano da me non hanno “errori di fabbrica”, la maggior parte dei problemi dipende dal fatto che i genitori non hanno saputo vedere i bisogni dei figli. Prestano attenzione al modo emotivo ma con un inganno forte. Pensano che tutti i bisogni emotivi vadano accontentati, secondo la logica “basta che tu sia felice”. Ma in questo modo di impedisce loro di crescere nella fatica e anche l’educazione emotiva ne risente. Non avendo un mondo emotivo ricco di tutte le sfumature che si incontrano nella realtà, positive e negative, i ragazzi diventano fragili. Ci sono genitori preoccupati di far sperimentare ai figli solo l’appagamento, attenti ad evitare loro anche il più piccolo istante di noia riempiendo le loro vite con mille attività. È sbagliato. Il fatto è che genitori non ci si improvvisa. Occorre formarsi, leggere, frequentare qualche percorso, ascoltare chi ne sa più di noi.

Un tempo non era necessario era professionisti dell’educazione per saper come intervenire. Cosa è successo?

Questa società è l’opposto di quella che ci ha preceduto. Siamo di fronte a un cambio epocale, ma è un cambio di facciata. Prima vivevamo in una società governata da un principio normativo, c’era il dovere, ti sposi e rimani in questa situazione anche se hai vivi un matrimonio che ti fa soffrire. Trovi un lavoro, meglio se è un posto fisso, e rimani lì anche se il lavoro non ti soddisfa. Quello è il tuo dovere. Adesso siamo passati al dominio del piacere. Un partner, ma anche un lavoro, si sceglie e si cambia, anche con frequenza, solo sulla base di un impulso emozionale. Direi che sia l’epoca del dovere, sia quella del piacere segnano una scissione all’interno dell’uomo. Confermano una sorta di delirio di onnipotenza sempre ingannevole.

È un rischio che va tenuto presente anche in campo educativo?

Certamente. Illudersi per esempio di cancellare tutti gli eventi spiacevoli nella vita dei nostri ragazzi è un delirio di onnipotenza. Dobbiamo invece spiegare loro che la serenità non è vivere senza problemi, ma essere stabili e maturi anche in mezzo ai problemi, che esistono e non possiamo cancellarli. Non esiste una terra senza vento, ma possiamo piantare querce che il vento non può spezzare. Noi invece stiamo crescendo ragazzi che vivono il problema della dissociazione. Apparentemente sono adulti, ma vivono i problemi dell’età adulta con modalità infantili.

Come gestire le menzogne del virtuale e far comprendere ai ragazzi che l’affettività e la sessualità non sono quelle raccontate, esibite, banalizzate sui social?

La risposta va modulata sulla base delle diverse età dei ragazzi. E questo va iniziato fin dai primi anni di vita. Invece vediamo in pizzeria bambini piccolissimi che giocano con lo smartphone. L’accesso ai social dovrebbe essere consentito solo dalle medie in poi. Purtroppo, non succede e siamo sempre costretti a inseguire. Così ci stupiamo se un ragazzo si affida al web e al social per soddisfare la sua sete di conoscere il mondo della sessualità. I genitori, gli adulti in generale, non sono considerati affidabili perché i ragazzi non si sentono visti, compresi. Non va fatta quindi la guerra ai social, ma dobbiamo noi adulti comprendere che i ragazzi, prima di conoscere il come della sessualità, vanno aiutati a comprendere il perché. È la ricerca di senso che aiuta i ragazzi a crescere.

Meglio parlare di educazione sessuale o di sessualità nell’educazione? C’è davvero una differenza sostanziale tra queste due espressioni?

La sessualità è una dimensione che coincide solo in minima parte con la genitalità. Spesso si fa coincidere sessualità e genitalità. Dobbiamo distinguere. Educare alla genitalità è importante perché comunque ci sono informazioni che vanno conosciute. La sessualità è un concetto più ampio perché è quella dimensione che mi rivela al mondo. Educare alla sessualità non vuol dire reprimerla o liberarla, ma rappresenta – possiamo dire così – il punto in cui mi trovo adesso. La sessualità non mi indica una direzione ma mi rivela il punto in cui sono. Oggi ci sono tanti giovani adulti che hanno scambiato la meta con la posizione in cui si trovano, ma così non si progredisce, si sta fermi.

Perché un numero crescenti adolescenti e di giovanissimi manifesta problemi legati all’identità di genere? Siamo di fronte a un contagio sociale oppure questi problemi 20 o 30 anni fa venivano trascurati?

Finalmente ci stiamo interrogando sul concetto di identità. Non si tratta solo di genere, ma di un problema globale. I ragazzi di oggi stanno inseguendo un senso di spiritualità, di pienezza che in passato non c’era. E questa ricerca di senso la stanno facendo attraverso il loro corpo. Non è un caso che sia aumentata tutta la casistica dei disagi legati al corpo. E non è un caso che suicidio sia la seconda causa di morte degli adolescenti. I ragazzi, proprio con il corpo, ci stanno dicendo che non riescono a trovare il senso delle cose

Perché proprio con il corpo?

Forse perché il corpo rimanda al senso del limite spaziale, temporale, relazionale. E i giovani d’oggi non riescono ad accettare i limiti in una società che continua ad illuderli di essere onnipotenti. E quindi il corpo diventa il teatro in cui la manifesta la guerra dell’identità, del “chi sono io”. Tutta la società sta cercando un corpo senza limiti, con anziani che stanno diventando quasi mostruosi nel tentativo di eliminare tutte le rughe e la pretesa di rimanere sempre e comunque in forma straordinaria. Anche il corpo dei giovani sintetizza le contraddizioni del mondo adulto.

Fonte: Avvenire