di don Maurizio Girolami

Benigni ha scelto, ed è qui il coraggio, di portare all’attenzione di milioni di italiani un testo biblico: il Cantico dei Cantici. Ma ha anche scelto, e qui è stato assai partigiano, di tacere sulla bellezza unica ed esclusiva dell’amore sponsale cantato dal Cantico

Continuano a fioccare, come in una tempesta di neve, le reazioni all’intervento di Roberto Begnini al Festival di Sanremo. Tra chi esalta la performance dell’artista e chi ne disprezza il tono quasi blasfemo per aver reso un libro biblico quasi un manuale di volgarità sessuali, ci sono diverse considerazioni.

Benigni è stato invitato sul palco dell’Ariston per uno dei momenti più intensi del divertimento italiano. In quel contesto poteva divertire con qualsiasi trovata. Ha scelto, ed è qui il coraggio, di portare all’attenzione di milioni di italiani un testo biblico che ebrei e cristiani condividono come tesoro della loro fede. Il Cantico dei Cantici, infatti, è un testo di poesia che appartiene alle Scritture giudaiche, annoverato tra i libri sapienziali con Salmi e Giobbe. Aver ricordato l’esistenza di questa gemma di bellezza radicata nella nostra memoria culturale è già un merito. Aver voluto invitare tutti a leggere il testo è stato un atto di audacia che ha sfiorato la sfida.

Perfino Origene, nel III secolo, ricorda che “presso gli Ebrei non si permette neppure di tenere in mano questo libro se non a chi è giunto ad età adulta e matura” (prefazione al Commento al Cantico dei Cantici). Anche Girolamo, grande conoscitore delle tradizioni giudaiche, afferma che bisogna avere almeno trent’anni per accostare un testo così denso e profondo. C’è da chiedersi se l’età adulta e la maturità siano condizioni facilmente reperibili nella società attuale, specialmente in quella che abita il mondo dei social e dello spettacolo.

Lo stesso autore alessandrino aveva precisato che “può accadere che da questo libro i lettori non traggano alcun profitto ma neppure molto danno, sia nel leggere ciò che è scritto sia nell’esaminare ciò che deve essere detto per spiegazione”. Leggere chiede pazienza e studio. Ogni interpretazione, specialmente in pochi minuti televisivi, può restituire, solo in modo diafano, qualche raggio dell’intenso splendore del Cantico.

Da tutti i commentatori antichi il Cantico dei Cantici è definito come un epitalamio, cioè un carme nuziale, tra lo sposo e la sposa (cf. Origene; Girolamo, Epistola 53). Viene notato anche che è composto in forma drammatica perché, oltre ai due protagonisti, un uomo e una donna, ci sono i rispettivi amici che fanno da corona alla gioia dei due innamorati che condividono il loro desiderio di essere l’uno per l’altra in modo unico ed esclusivo. Si tratta perciò di un testo che narra l’amore “che è la causa principale per la quale il libro è stato scritto”. Di un amore tra uomo e donna, anzi tra uno sposo e una sposa, cioè dell’amore che cerca l’unicità del rapporto e l’esclusività dell’appartenenza.

Benigni, nell’aver intorpidito il messaggio sponsale del Cantico con un’applicazione generalizzata ad ogni forma di ciò che oggi chiamiamo amore, ha cercato di addomesticare il testo a ciò che è considerato socially correct.

Origene, ancora una volta, precisa: “ è difficile e pericolosa la disputa sulla natura dell’amore” e perciò aggiunge, con una parola desueta, che non si può dimenticare la pudicizia “adatta allo stesso nome e alla natura dell’amore”. L’amore infatti eleva, unisce, compone, rispetta, non manca di nulla, è capace di dare tutto, perché sa di non perdere nulla.

Benigni lo ha ricordato citando, senza dirlo, Gesù: “chi darà tutta la sua vita – per amore – la salverà e non la perderà” (cf. Mt 16,25). Nel vangelo non è detto ‘per amore’ ma ‘per causa mia’. Gesù ha dimostrato che la natura dell’amore è cercare l’amato fino a perdere la propria vita. Estremamente coraggioso ricordare questo vertice a Sanremo, assai cortigiano aver voluto tacere sulla bellezza unica ed esclusiva dell’amore sponsale cantato dal Cantico, che si raggiunge nella maturità. Non è un caso infatti che nell’itinerario spirituale di un credente, come testimonia tutta la tradizione patristica, il Cantico dei Cantici era posto dopo la lettura dei Proverbi e di Qohelet, cioè dopo una grande ascesi personale.

Fonte: Il Popolo, settimanale della diocesi di Concordia-Pordenone