Pubblichiamo l’intervento di Carlos J. Errazuriz (Professore Ordinario di Filosofia del Diritto e di Fondamenti del diritto nella Chiesa alla Pontificia Università della Santa Croce) ha tenuto il 26 settembre 2021 in occasione della XVa edizione della rassegna “Ascoltare, Leggere, Crescere” svoltasi a Pordenone. L’incontro, dal titolo “Ripartire con Amoris Laetitia, Le risorse della famiglia per il futuro” è stato coordinato da don Enrico Facca vicedirettore del Servizio diocesano per la pastorale familiare.

Il testo dell’intervento del Prof. Carlos J. Errazuriz

È un luogo comune affermare che il matrimonio oggi in Italia è in crisi, non solo per la moltiplicazione dei divorzi, ma anche per la tendenza a non sposarsi o a rinviare le nozze. Non intendo qui analizzare i dati statistici, anche se qualche dato, e segnatamente la minore percentuale dei matrimoni religiosi rispetto a quelli civili, ci potrà dar luce. Il mio intento però riguarda qualsiasi matrimonio, non solo quello canonico, benché terrò anche conto di ciò che la fede cristiana, nella parola di Dio insegnata dal magistero della Chiesa, proclama nei riguardi di ogni realtà matrimoniale.

Come si spiega il calo dei matrimoni, la disaffezione nei confronti dell’unione coniugale? Papa Francesco, ne1l’esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia, n. 40, citando parole della Relatio del Sinodo sulla famiglia, affermava che: «In alcuni paesi, molti giovani “spesso sono indotti a rimandare le nozze per problemi di tipo economico, lavorativo o di studio. Talora anche per altri motivi, come l’influenza delle ideologie che svalutano il matrimonio e la famiglia, l’esperienza del fallimento di altre coppie che essi non vogliono rischiare, il timore verso qualcosa che considerano troppo grande e sacro, le opportunità sociali ed i vantaggi economici che derivano dalla convivenza, una concezione meramente emotiva e romantica dell’amore, la paura di perdere la libertà e l’autonomia, il rifiuto di qualcosa concepito come istituzionale e burocratico”». In questo intervento intendo mettere in luce una risposta a quel quesito che in qualche modo coesiste con molte delle anzidette ragioni: si tratta dell’ignoranza su ciò che significa sposarsi.

Esistono molteplici approcci riduttivi al matrimonio, talvolta compatibili con l’identificazione di ciò che esso è in realtà, talvolta chiaramente escludenti una vera unione coniugale.

Sposarsi non è una mera convenzione sociale. È certamente possibile contrarre matrimonio vero matrimonio, scegliendo una forma di farlo per accontentare le aspettative altrui. Ma è possibile che la scelta di adeguarsi a un modello di comportamento diffuso riguardo alle nozze sia accompagnata da una volontà che non è veramente matrimoniale.

Sposarsi non è solo vivere un momento di speciale intensità emotiva. Può darsi che ciò si fondi, come dovrebbe essere, sulla stessa rilevanza esistenziale del vero matrimonio. Ma se si intendesse il matrimonio come un momento che non segna un prima e un dopo la celebrazione, allora l’atto di sposarsi sarebbe svuotato di significato, poiché esso avrebbe rilevanza unicamente sul piano affettivo.

Sposarsi non è essenzialmente sottomettersi a un determinato sistema legale di regolazione degli effetti del patto matrimoniale. A parte la questione sulla rilevanza pratica, in termini di vantaggi, sempre più irrilevanti, di questa scelta, tale sottomissione intenzionale può certamente coesistere con una volontà veramente matrimoniale, ma se diventasse esclusiva allora certamente ci sarebbe solo un’apparenza di unione coniugale.

In positivo presenterò alcuni tratti essenziali del matrimonio. Non occorre che su di essi i nubendi abbiano una conoscenza esplicita: basta che il loro atto di sposarsi li contenga implicitamente.

In primo luogo, sposarsi implica riconoscere che la sessualità umana ha un senso personale. Nel contesto odierno di banalizzazione del sesso o tutt’al più di un approccio puramente sentimentale, occorre affermare che l’unione tra uomo e donna è d’indole interpersonale, coinvolgendo tutti i livelli della vita della persone umane, da quelli più istintivi fino a quelli più spirituali. L’unione coniugale è tra la persona- uomo e la persona-donna ne11’integrità della loro rispettiva mascolinità e femminilità, che nello sposarsi diventano coniugalità.

La mascolinità e la femminilità sono dimensioni naturalmente relazionali e complementari, il che si manifesta nell’intera vita sociale, ma massimamente nell’unione specificamente configurata dalla sessualità, che è il matrimonio inteso come l’essere una sola carne. «Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne» (Gen 2, 24): nella nozione di “una sola carne” (una caro) la tradizione ecclesiale ha trovato molta luce per comprendere cos’è il matrimonio. La spiegazione di Gesù, secondo cui «così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mt 19, 6), evidenzia che l’espressione biblica supera il suo più comune significato immediatamente concernente l’atto coniugale, poiché riguarda un’unione permanente, anzi che nessuno può dividere. Tale unione è lo stesso matrimonio, il quale viene visto così come profonda unità tra l’uomo e la donna («non sono più due, ma una sola carne»), che si uniscono nella carne, cioè nella loro natura umana, ovvero in quanto spiriti incarnati. La concezione biblica del matrimonio quale una caro mette in risalto l’indole naturale dell’unione, la quale presuppone che l’essere uomo e l’essere donna sono dimensioni della natura umana, tra cui vi è una reciproca tendenza naturale

(inclinatio naturae) verso la costituzione di un’unione che cambia radicalmente la propria vita («l’uomo lascerà il padre e la madre») ed implica un’unità indivisibile («l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto»). La naturalità, la relazionalità e la complementarietà che caratterizzano la differenza sessuale umana sono inseparabili dal carattere personale di quest’ultima, per cui non ha senso contrapporre persona e natura nel matrimonio.

In secondo luogo, sposarsi comporta la nascita di un vincolo tra marito e moglie. Si tratta di una relazione reale, di un legame interpersonale. Amoris laetitia attribuisce tanta rilevanza a questa realtà relazionale da parlare di una spiritualità del vincolo (cfr. n. 315) e di una sua pastoralità (cfr. n. 211), in quanto la consapevolezza su di esso deve informare la vita umana e cristiana dei coniugi nonché l’azione pastorale della Chiesa in quest’ambito. Questo vincolo è nello stesso tempo un vincolo di giustizia e di amore.

Il disegno naturale sul matrimonio e la famiglia si attua mediante la libertà umana, e tale libertà si esercita autenticamente nell’amore interpersonale. In questo senso, nel magistero della Chiesa nel sec. XX vi è una grande attenzione al1’amore coniugale, in particolar modo nella costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II. Il matrimonio e la famiglia in esso fondata si costituiscono mediante un libero atto di amore mutuo tra gli sposi (essendo tale amore nella sua essenza un atto della volontà della persona che si dona e viene accettato come coniuge), e il matrimonio già costituito è un’«intima comunità di vita e di amore coniugale», secondo la celebre espressione conciliare (cfr. GS, 48a). Tale comunità è dovuta, e va vissuta e cresce attraverso l’amore coniugale. Tuttavia, lo stesso testo, nel parlare del «consenso personale irrevocabile» che ne è la causa, de1l’«istituzione che ha stabilità per ordinamento divino» e che è un «vincolo sacro» che «non dipende da1l’arbitrio dell’uomo», esclude una semplicista identificazione tra amore effettivo e matrimonio, e pertanto impedisce di concepire quale essenza del matrimonio la realizzazione esistenziale di que1l’intima comunità di vita e d’amore.

La dinamica dell’amore nel matrimonio e nella famiglia presuppone e si fonde con quella della giustizia. «Il marito dia alla moglie ciò che le è dovuto; ugualmente anche la moglie al marito. La moglie non è padrona del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è padrone del proprio corpo, ma lo è la moglie» (1 Cor 7, 3-4). Queste asserzioni paoline circa l’atto coniugale evidenziano la dimensione di giustizia, e pertanto di diritto quale suo oggetto, che caratterizza essenzialmente l’unione matrimoniale. L’amore coniugale è vero se muove verso l’attualizzazione di ciò che è giusto nei rapporti tra marito e moglie, che in fondo implica sempre conformarsi alla loro coniugalità, ossia alla relazione di mutua coappartenenza tra loro nella mascolinità e la femminilità. A sua volta essere giusti nella loro relazione coniugale richiede l’amore, perché gli atti esterni che si devono vicendevolmente possono essere compiuti nel modo che è matrimonialmente giusto solo se c’è amore, sia pure in minimo grado. Amore e giustizia s’intrecciano profondamente: il primo indica l’orizzonte interpersonale dell’unione e la pienezza cui è chiamata, la seconda corrisponde alla struttura fondamentale dell’unione secondo la sua natura, in cui l’uomo e la donna, rimanendo autonomi tra di loro, sono veramente diritto-realtà giusta dell’altro per quel che attiene alla loro dimensione coniugale (è il senso profondo dell’essere “mio marito” e “mia moglie”). Qui si ravvisa una priorità fondativa nel rapporto di giustizia, in quanto la specificità della relazione con l’altro segna le esigenze della verità dell’amore, e una priorità vitale nel rapporto d’amore, che muove a vivere secondo il diritto e ad andare oltre.

In terzo luogo, sposarsi è dar vita ad un legame talmente profondo che è per sempre. Siamo abituati a pensare che l’esistenza del matrimonio è compatibile con la possibilità del divorzio, ma ogni vero matrimonio o è indissolubile o semplicemente non c’è. In questo senso bisogna cogliere in profondità il nesso tra la verità del matrimonio e la sua indissolubilità: è certamente importante mostrare i vantaggi della permanenza dell’unione e i danni del divorzio, soprattutto per i figli ma anche per gli stessi coniugi e per gli altri, ma tale argomentazione rimane limitata finché non si conosce, per ragione o per fede, che il matrimonio è indissolubile. Nelle situazioni di crisi, quando viene a mancare l’amore effettivo tra i coniugi, rimane una relazione tra loro che non è vuoto riferimento formale o legalistico, ma vera unione, che sussiste sempre come chiamata all’amore e alla giustizia, anche laddove la convivenza sia diventata oggettivamente impossibile.

L’unione tra l’uomo e la donna non raggiunge la sua piena verità se non impegna la totalità anche temporale della loro mascolinità e femminilità, in modo tale che non esistono ragioni che fondino lo scioglimento. La comunicazione e compartecipazione dell’essere maschile e femminile è inautentica se viene minacciata dalla caducità mentre i coniugi vivono. Una donazione parziale di queste dimensioni non solo è ingiusta, con un’ingiustizia che non scompare in virtù del reciproco assenso, ma in realtà non può essere matrimoniale, in quanto contraddice il fatto che l’uomo e la donna coniugati, in quanto tali, non sono più due.

È facile ammettere, sulla scia della fenomenologia dell’amore umano, che l’indissolubilità è un bel1’ideale. La difficoltà nasce quando, per cause volontarie o meno, la vita matrimoniale non va avanti. È allora che il vincolo appare come una realtà vuota, che sussisterebbe unicamente in un registro e nell’applicazione di una legge positiva. Tuttavia, è proprio in tali circostanze che risuona in tutta la sua forza il monito di Gesù: “l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”, con il suo appello alla riconciliazione dei coniugi e comunque al mutuo rispetto della loro identità relazionale, tenuto conto di tutta la sua rilevanza per loro stessi, per i figli e per la società. L’una caro non è stata il mero prodotto della volontà umana: è Dio stesso, Creatore dell’uomo e della donna, della loro relazionalità naturale, che ha unito il loro essere maschile e femminile in matrimonio. E il “per sempre” appartiene alla configurazione naturale di tale unione, alla sua struttura giuridica essenziale. Si rimane marito e moglie anche quando sembrano esserci tante buone ragioni per sciogliere tale legame, quando per motivi giustificati o meno si è instaurata una separazione, oppure quando si è cercato di stabilire una nuova unione. È innegabile che in questo vincolo di giustizia che resta intatto in ogni circostanza si scorge un mistero, che s’illumina nel contesto del piano salvifico di Dio per l’umanità in Cristo. Ma non va dimenticato che quel1’il1uminazione mediante la fede rimanda al disegno naturale, creazionale, del principio. Ne11’accog1iere l’indissolubilità dell’una sola carne, si prende assolutamente sul serio l’essere relazionale secondo giustizia dell’unione tra uomo e donna.

Papa Francesco, citando di nuovo la Redatto sinodale, scrive in Amoris laetitia, n. 62, che «I Padri sinodali hanno ricordato che Gesù, “riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur dicendo che ‘per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così’ (Mt 19,8). L’indissolubilità del matrimonio (‘Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. […] La condiscendenza divina accompagna sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù, che […] annunciò il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cfr. Mt 19,3)”».

In quarto luogo, sposarsi è formare una famiglia. Il riferimento alla famiglia illumina la teleologia del matrimonio: infatti, il matrimonio è inconcepibile se lo si stacca dalla famiglia, formata già dagli stessi coniugi quando si sposano, come ambito aperto alla prole e poi ad altre persone. Perciò, il senso procreativo-educativo rimane l’elemento di specificazione dell’unione matrimoniale, e pertanto degli atti coniugali e dell’intera dinamica esistenziale degli sposi. Tolto questo elemento cadono le ragioni che consentono di individuare il significato della stessa diversità tra uomo e donna. Ma si deve tener presente che la procreazione-educazione richiede essenzialmente l’unità interpersonale tra marito e moglie. Del resto, nemmeno il mutuo aiuto può essere compreso in una chiave egoistica, chiusa alla famiglia. Tutto questo naturalmente si riflette nell’amore e nella giustizia coniugale e paterno-filiale. In definitiva, i fini essenziali del matrimonio, cioè la procreazione-educazione della prole e il servizio mutuo tra i coniugi, sono aspetti della famiglia, e perciò l’intenzione di fondare una famiglia è insita nell’intenzione di sposarsi e costituisce una via efficace per discernere l’autenticità di quest’ultima.

In quinto luogo, sposarsi è un atto bilaterale, il consenso matrimoniale, che può provenire solo dai nubendi. La ragion d’essere del1’insostituibi1ità del consenso si ricollega anche a1l’essenza del matrimonio. In effetti, se si tiene presente che il vincolo riguarda marito e moglie nel bene giuridico della loro coniugalità, che è una dimensione naturale inerente al loro stesso essere personale, si comprende che unicamente la stessa persona è capace di rendere partecipe l’altro della sua dimensione relazionale femminile o maschile, nonché di accogliere tale partecipazione. Nel contempo va ricordato che la condivisione reciproca del bene della coniugalità non si può comprendere come frutto di una libertà creativa dei coniugi, come se essi fossero in grado di modellare un’unione matrimoniale, creando mediante la forza della loro sola promessa un vincolo indissolubile. Insieme al consenso opera sempre la natura della persona-uomo e della persona-donna, altrettanto insostituibile nella costituzione di un legame, che non è disegnato, bensì attualizzato dal consenso, essendo la mascolinità e la femminilità, nel loro essere relazionale naturale, vere cause dell’unione che sorge in virtù della libertà umana. E dietro la natura umana si scopre Dio Creatore, e si penetra di più nella portata ontologica della parola di Gesù: «Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (Mt 19, 6).

In sesto luogo, sposarsi è rispondere affermativamente a una vera vocazione duale. Anche quando non si colga la trascendenza di tale chiamata, come disegno divino che interpella le persone, è evidente che la condizione di sposato coinvolge l’intera esistenza delle persone. È vocazione per la stragrande maggioranza dell’umanità, essendo legata alla stessa sussistenza della vita umana sulla terra. Questa vocazione matrimoniale e familiare è rettamente avvertita come più rilevante rispetto alla vocazione professionale, per cui la famiglia gode di una priorità esistenziale nei riguardi del lavoro e di altri ambiti dell’esistenza. Perciò, lo sposarsi deve essere preceduto da un vero discernimento vocazione, per il quale è decisivo il periodo di fidanzamento.

Questa descrizione di alcuni aspetti della ricchezza contenuta nello sposarsi potrebbe far pensare che si tratti di una realtà riservata a pochi privilegiati. A questo proposito va osservato che nella realtà sposarsi è un atto molto semplice ed unitario, nella misura in cui comporta l’assumere una realtà insita nella stessa relazionalità naturale della condizione umana. Tuttavia, l’aspetto più preoccupante dell’attuale crisi del matrimonio consiste proprio nella difficoltà di cogliere tale realtà naturale. In questo senso risultano illuminanti le parole che Benedetto XVI nel 2007 rivolgeva al clero delle diocesi di Belluno-Feltre e Treviso. Sono parole che meritano una lunga citazione, perché in esse c’è nel contempo la costatazione di un grande problema umano e l’affermazione di una speranza basata proprio nel1’indole naturale del coniugio:

«Il Diritto Canonico suppone che l’uomo come tale, anche senza grande istruzione, intenda fare un matrimonio secondo la natura umana, come indicato nei primi capitoli della Genesi. E’ uomo, ha la natura umana, e quindi sa che cosa sia il matrimonio. Intende fare quanto gli dice la natura umana. Da questa presunzione parte il Diritto Canonico. E’ una cosa che si impone: l’uomo è uomo, la natura è quella e gli dice questo. Ma oggi questo assioma secondo cui l’uomo intende fare quanto è nella sua natura, un matrimonio unico, fedele, si trasforma in un assioma un po’ diverso. “Volunt contrahere matrimonium sicut ceteri homines”. Non è semplicemente più la natura che parla, ma i “ceteri homines”, quanto fanno tutti. E quanto fanno oggi tutti non è più semplicemente il matrimonio naturale, secondo il Creatore, secondo la creazione. Ciò che fanno i “ceteri homines” è sposarsi con l’idea che un giorno il matrimonio possa fallire e si possa così passare ad un altro, ad un terzo e ad un quarto matrimonio. Questo modello “come fanno tutti” diventa così un modello in contrasto con quanto dice la natura. Diventa così normale sposarsi, divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che va contro la natura umana o comunque si trova difficilmente uno che pensi così. Perciò per aiutare ad arrivare realmente al matrimonio, non solo nel senso della Chiesa, ma del Creatore, dobbiamo riparare la capacità di ascoltare la natura. Ritorniamo al primo quesito, alla prima domanda. Riscoprire dietro a ciò che fanno tutti, quanto ci dice la natura stessa, che parla in modo diverso da questa abitudine moderna. Ci invita, infatti, al matrimonio per la vita, in una fedeltà per la vita, anche con le sofferenze del crescere insieme nell’amore. Quindi, questi corsi preparatori al matrimonio dovrebbero essere un riparare la voce della natura, del Creatore, in noi, riscoprire dietro a quanto fanno tutti i “ceteri homines”, quanto ci dice intimamente il nostro stesso essere. In questa situazione, quindi, fra quanto fanno tutti e quanto dice il nostro essere, i corsi preparatori devono essere un cammino di riscoperta, per reimparare quanto il nostro essere ci dice, aiutare ad arrivare ad una vera decisione per il matrimonio secondo il Creatore e secondo il Redentore. Quindi, questi corsi preparatori per “imparare se stessi”, per imparare la vera volontà matrimoniale, sono di grande importanza».

Dicevo all’inizio che una parte della risposta al quesito sul perché del calo e della disaffezione nei confronti del matrimonio deriva dalla ignoranza su di esso. Ma confrontando la descrizione di alcuni aspetti essenziali del matrimonio con il dato del calo dei matrimoni si potrebbe temere che la conoscenza di quei tratti essenziali faccia discendere ulteriormente il numero dei matrimoni. E ciò è certamente vero se si adotta la visuale della celebrazione formale delle unioni. Superare però l’ignoranza diffusa su ciò che è realmente il matrimonio costituisce la via per incrementare la celebrazione autentica delle nozze. Ciò che conta è aumentare le vere nozze, in modo che si diffonda una cultura autenticamente matrimoniale e familiare. La Chiesa, intesa come l’intero Popolo di Dio, può fare molto a questo riguardo: riproporre la verità, la bontà e la bellezza del matrimonio, anzitutto nei suoi profili naturali, e ovviamente aprendosi a quelli soprannaturali d’indole sacramentale, è una missione che tocca soprattutto ai laici, in primo luogo agli stessi sposati che trasmettano ai figli la loro esperienza. In questo senso, è motivo di speciale preoccupazione il calo dei matrimoni religiosi, in quanto ciò vuol dire, oltre allontanamento o dalla fede e dalla pratica religiosa, che meno persone si possono beneficiare dell’aiuto che la comunità ecclesiale e i pastori danno per imparare la verità sullo sposarsi. L’esigenza della forma canonica per il matrimonio dei cattolici assume certamente in nostro tempo un senso di aiuto concreto per proteggere l’autenticità dei matrimoni. Questione diversa è se tale esigenza sia da mantenere come necessaria per la validità dell’unione, o se invece possa mutarsi in un requisito per la sola liceità, riconoscendo il diritto a sposarsi dei battezzati che, pur volendo un vero matrimonio, escludono la celebrazione religiosa per motivi legati alla loro stessa lontananza pratica della fede. In questo modo il loro riavvicinarsi alla fede e alla pratica religiosa si farebbe dal riconoscimento di una loro vera unione anzitutto sul piano naturale del loro diritto a contrarre matrimonio.

Dinanzi all’attuale tendenza a rinviare le nozze, Papa Francesco ha detto: «Abbiamo bisogno di trovare le parole, le motivazioni e le testimonianze che ci aiutino a toccare le fibre più intime dei giovani, là dove sono più capaci di generosità, di impegno, di amore e anche di eroismo, per invitarli ad accettare con entusiasmo e coraggio la sfida del matrimonio» (Amoris laetitia, n. 40). Ovviamente vincere quella sfida non consiste solo nell’atto di contrarre matrimonio, bensì comporta un intero vissuto veramente matrimoniale, con la volontà di affrontare insieme le inevitabili difficoltà e momenti critici che ogni relazione coniugale incontra. Ma tutto ciò si affronta in un modo completamente diverso quando l’atto di sposarsi è stato vero e quando sussiste la consapevolezza di tale verità. Occorre riscoprire il matrimonio non come il prodotto di un passato in via di superamento, ma come realtà possibile, ed attuale in tante coppie, nel mondo di oggi. Vale la pena sposarsi perché così ci si apre a un «vincolo abitato da1l’amore divino» (Amoris laetitia, n. 315).