di Lucia Gherardi

C’era una volta un uomo e una donna che si sposarono e vissero felici e contenti per tutta la vita…. Così termina ogni fiaba che si rispetti, ma è davvero così nella vita reale? Le statistiche ci dicono che nel mondo occidentale i matrimoni, specialmente in Chiesa, sono sempre di meno e aumenta il numero delle separazioni. E’ sempre più difficile per una coppia vivere insieme in amore e in equilibrio. Sembra che il male maggiore non sia più l’infedeltà, quanto la cosiddetta sindrome del coinquilino.

E allora la favola cambia…c’era una volta un marito e una moglie che, dopo pochi anni dal matrimonio e con due bimbi ancora piccoli, furono costretti a riconoscere che il proprio matrimonio era in frantumi; frammenti così piccoli che ormai era difficile ricostruire. Erano diventati perfetti sconosciuti, conducevano una vita a due senza più condivisione di nulla, se non lo spazio vitale della casa, la comproprietà dei figli e l’eventuale conto in banca cointestato. Facevano due vite parallele, svolgevano attività individuali senza coinvolgere il coniuge, non parlavano più di temi profondi e soprattutto non si interessavano più l’uno dell’altro; mangiavano in silenzio, non si raccontavano le giornate e non si chiedevano mai reciprocamente come si sentissero realmente. I pochi dialoghi, se non per cose organizzative, erano discussioni, anche su piccole cose, che acuivano le diversità del carattere; non sapevano neanche più guardarsi negli occhi e, se si parlavano, usciva solo una valanga di accuse reciproche, inconsapevoli che a forza di dirsi ciò che non andava finirono col pensare che non sarebbero potuti più uscire dalla conflittualità, ma al massimo fare una tregua fino al successivo scontro.

Quante storie come questa! Storie di matrimoni feriti, stremati, in fin di vita, che indicano l’incapacità degli sposi di fare il salto dall’amore alla comunione che dura tutta la vita. Ma perché si arriva a distruggere quella che era stata la propria scelta di vita? E come provare a prevenire o curare la relazione così ferita?

Prevenire è meglio che curare. Il valore della quotidianità

Se si finisce nello stile di vita da coinquilini, fondamentale è il riconoscimento dei primi sintomi e agire in modo tempestivo e risoluto, senza perdere la speranza di poter dare nuova vita alla coppia e lottando contro ogni tentazione di scoraggiamento e di resa. Soprattutto non lasciarsi coinvolgere dalla mentalità dominante di prendere la strada della separazione, ma lottare fino alla fine, perché “più grande è la lotta e più glorioso sarà il trionfo”.

Tra le maggiori cause che portano gli sposi a questa condizione, in primis c’è la mancata cura quotidiana della coppia, che è come una pianta da innaffiare quotidianamente, concimare regolarmente, potare e sostenere se necessario. Invece ci si sposa pensando che il matrimonio rende automaticamente felici, senza bisogno di impegno e fatica, senza mettere il “noi” davanti a tutto. Infatti col matrimonio nasce una nuova realtà: non ci sono più due entità (due individui) ma una sola nuova identità (la coppia sposata), sia dal punto di vista emotivo, che spirituale, intellettuale e non ultimo finanziario (ciò che si ha è per tutta la famiglia). La coppia diventa una sola cosa, mantenendo ognuno la propria individualità: l’unità nella differenza.

Un’altra piaga è la mancanza di tempo trascorso insieme. La vita frenetica, piena di impegni porta a trascurare il coniuge. Si pensa al lavoro, ai figli, allo sport, a coltivare i propri amici e si dà per scontato la persona che ci sta affianco a noi dentro casa. La frequentiamo sempre di meno e quindi la conosciamo sempre di meno. Bisognerebbe trascorrere insieme, da soli, almeno 30 minuti al giorno, parlando di sé, della relazione, condividendo situazioni ed esperienze che ravvivano e mantengano la percezione del piacere dello stare assieme.

Fondamentale è anche curare il dialogo: non esiste la telepatia tra gli sposi, è necessario parlarsi, far sentire il coniuge preso in considerazione e amato, anche con semplici frasi, senza dimenticare le espressioni d’amore, perché il “tanto già lo sa” è terreno fertile per l’insinuarsi dell’indifferenza.

Il vero impegno sta nelle piccole cose di ogni giorno. A forza di trascurare i momenti quotidiani, di dare per scontato o sottinteso quello che l’uno e l’altra sentono, si arriva all’assenza di dialogo, all’incomunicabilità, ai malintesi e un sassolino nella relazione diventa presto una montagna invalicabile.

Il ruolo importante della comunità

Fin qui abbiamo visto cosa sarebbe bene che gli sposi facessero ed evitassero, tuttavia è bene non dimenticare che una coppia è sempre inserita in una comunità, che non può lavarsene le mani relegando il problema delle crisi matrimoniali all’interno della coppia, ma deve essere consapevole delle proprie responsabilità. Per ciò è importante che qualcuno insegni agli sposi la “grammatica” dell’amore umano; è necessario accompagnare gli sposi non tanto prima del matrimonio, ma dal giorno seguente e negli anni a venire, sostenendoli quando i sentimenti e le emozioni iniziali vacillano, insegnando che questi non sono sufficienti per costruire la casa sulla roccia.

E invece, lo dico per esperienza personale, vengono lasciati soli, anche se molto spesso sono loro stessi che pensano di non aver bisogno di aiuto, convinti di potercela fare da soli, non chiedendo consigli sin dal momento in cui si presentano le prime difficoltà; forse per pudore, forse per timore di non essere compresi, sicuramente perché la società individualista e frenetica in cui viviamo non facilita il dialogo nel momento del bisogno. E l’individualità si insinua anche nella coniugalità, che invece per definizione implica l’essere in due. Occorre che gli sposi imparino ad affrontare insieme le difficoltà della vita; d’altra parte coniugi vuol dire essere attaccati allo stesso giogo: camminare insieme uniti da un giogo che non è un vincolo reprimente, ma un vincolo che dà senso alla loro vita.

Fonte: Family and Media