di Mariolina Ceriotti Migliarese

Tra le sfide che ci troviamo ad affrontare nel percorso di crescita verso l’identità personale, una delle più interessanti e complesse è questa: come confrontarci con il tema delle “aspettative”, per arrivare a conoscere e incontrare ciò che nello stesso tempo le precede e le supera, e cioè il desiderio.

“Desiderio” è una parola molto bella, che gode oggi di grande popolarità, non solo in ambito psicoanalitico; conoscere il proprio desiderio significa assumere la nostra soggettività, e incontrare in noi stessi ciò che ci fa specificamente diversi uno dall’altro. Ma come distinguere ciò che nasce dal desiderio autentico da ciò che invece nasce dal bisogno di essere all’altezza delle aspettative su noi stessi che abbiamo costruito nel tempo?

Parlare di aspettative significa affrontare diverse questioni: cosa l’ambiente si aspetta da noi, a partire dai primi momenti di vita; che lettura abbiamo dato e diamo di queste vere o presunte richieste dell’ambiente; cosa ci aspettiamo da noi stessi, per sentirci all’altezza del desiderio (reale o immaginario) degli altri, da cui vogliamo essere apprezzati e riconosciuti.

Quando veniamo al mondo non abbiamo consapevolezza di noi stessi, ma chi ci accoglie ha sempre delle attese, delle fantasie, delle paure e dei desideri. Ci sono molti elementi inevitabili: se il bambino è desiderato, a chi assomiglia, come ci sembra il suo carattere, come riusciamo (o non riusciamo) a entrare in sintonia con lui; senza volerlo proiettiamo su di lui le nostre immagini e le nostre attese, e il bambino inconsciamente le percepisce, e inconsciamente risponde.

Il bisogno più profondo del cuore umano è quello del “riconoscimento”: bisogno di sentirsi amati e apprezzati, riconosciuti nel proprio valore e nella propria unicità. Proprio per ottenere questo riconoscimento, senza esserne consapevoli cerchiamo di corrispondere alle richieste che immaginiamo provenire dalle persone per noi significative; richieste che non sono necessariamente reali, ma che siamo noi a interpretare, secondo gli strumenti affettivi e cognitivi che la fase di sviluppo di volta in volta ci consente. Il modo in cui queste attese risuonano in noi è alla base di quello che chiamiamo “Ideale dell’Io”: l’immagine di un modo di essere che ci farebbe sentire all’altezza di queste aspettative, divenute anche le nostre su noi stessi. Questa immagine ideale è in parte inconscia, ma il non riuscire a raggiungerla fa sentire inquieti, sbagliati, talvolta persino colpevoli.

Perché il desiderio possa emergere, però, la pressione delle aspettative deve ridursi. Ciò che caratterizza le aspettative è che contengono sempre l’idea di “essere all’altezza”, cioè conformi all’ideale immaginato, e che il riconoscimento dell’altro è sempre un elemento essenziale.

Per scoprire il proprio desiderio è necessario passare dall’Ideale dell’Io a una lettura più realistica di sé: andare oltre la necessità inevitabile di rispondere alle aspettative dell’altro, per imparare a leggere e accogliere non solo le nostre potenzialità e risorse ma anche i nostri limiti.
Il desiderio ci guida a mettere a frutto in modo concreto ciò che siamo realmente. Quando ciò che facciamo è nel solco del desiderio quel che conta davvero non è più il successo, e siamo più liberi dal riconoscimento dell’altro: il premio del nostro agire sta nel piacere che si prova quando ciò che facciamo è davvero nostro, ed esprime quello che in ciascuno di noi è unico e irripetibile.

Fonte: Avvenire