di Luciano Moia

Marina Corradi commenta le omelie nuziali di don Antonio Anastasio, scomparso per il Covid lo scorso anno. Un intreccio denso di riferimenti biblici, interrogativi, confessioni a cuore aperto

In un’epoca come la nostra in cui il matrimonio è purtroppo scelta sempre più inconsueta, don Antonio Anastasio, prete milanese della Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo, ha benedetto in pochi mesi le nozze di decine di sposi. Non solo. Ogni volta, questo missionario dal volto simpatico che è stato anche cappellano universitario e viceparroco della periferia milanese, si è preso l’impegno di scrivere le omelie prima di pronunciarle. Sempre intense, sempre capaci di passare in modo lieve e coinvolgente dagli spunti biblici, alla letteratura, alla vita concreta del matrimonio che – come lui ben sapeva – è impastata di realtà ma anche di senso del mistero. Prediche che raccontano non solo l’attenzione e il rispetto di questo sacerdote per i due giovani – o meno giovani – di fronte a lui sull’altare come trampolino di lancio per una lunga avventura insieme, ma la sua profonda sapienza, la sua saggezza, la sua ironia, il suo dedicare tempo e pensieri al futuro delle tante coppie che certamente l’hanno ascoltato e apprezzato. Ora venti di queste omelie nuziali, pronunciate dal marzo 2019 al dicembre 2020, sono raccolte in un libro.

Fin qui niente di particolare. Se non che le omelie sono arricchite, di volta in volta, da uno scritto di Marina Corradi, editorialista di Avvenire. Parole che non sono commento e non sono analisi. Sono pensieri sparsi, sempre ricchi e profondi, che colgono un aspetto, uno spunto, una parola tra quelle pronunciate da don Anastasio e prendono il volo verso altri orizzonti.

Strano vero? Una giornalista, pur dello spessore e dell’esperienza di Marina, che pretende di inventarsi una “post-omelia” dopo che un prete – e che prete – ha detto la sua. Non si tratta di un abuso, se non di potere, almeno di competenze?

Scherziamo, naturalmente. Marina e don Antonio, per tutti don Anas, sono grandi amici da molto tempo. Dovremmo dire “erano” amici, ma viene spontaneo ricorrere al presente, anche se il 9 marzo 2021 questo sacerdote generoso è morto di Covid. I legami autentici però non si interrompono mai. Tanto più quelli modellati nella fede e nell’impegno forte e condiviso. Don Anas nel sacerdozio, Marina nella famiglia e nel suo apostolato della penna (la definizione la farà arrabbiare, ma pazienza).

La bellezza e la trasparenza di questa vicinanza di anime scorre lieve nel libro – Non dimenticate il desiderio. L’eredità di don Anas: dialoghi sul matrimonio (San Paolo) – e viene raccontata prima da uno scambio di messaggi su whatsapp, «poche battute, ma dense di cose che avremmo voluto raccontarci”» poi da questo sorprendente dialogo mediato dalle omelie.

Don Anas parla di Cristo, di fedeltà, di amore, delle canzoni di Giuni Russo. Marina spazia in ricordi personali, vicende familiari, scorci di un’esistenza e di un’anima che non si stanca di chiedere conto a Dio delle sue decisioni. «Ci rassegneremo mai all’alterità di Dio, al suoi pensieri, altri dai nostri pensieri?” » Con alcuni passaggi drammatici: «Sai, Anas, per me la storia di mia madre, Annamaria, è la pietra di inciampo. Aveva tre figli, e quando mia sorella maggiore le morì di cancro, a 14 anni, per il dolore impazzì… Io, bambina, ho visto insorgere in lei, oltre al dolore, la rabbia. Un’atroce rabbia, lo capisco ora, perché Dio l’aveva tradita…» Questo “scandalo per sempre” è un po’ in fondale di tutte le riflessioni di Corradi.

Don Anastasio si rivolge ai giovani sposi invitandoli al “perdono continuo” sull’esempio di Gesù: « Dovete perdonarvi, perdonarvi sempre» Marina aggiunge il ricordo del suo cammino di coppia: «Questo fatto del perdonarci non l’avevamo ben capito in verità, all’inizio. È stata una lunga strada… E quanto, di parole, di risentimenti, abbiamo dovuto perdonarci, noi due. Strada facendo, a volte faticando come a zappare nel deserto, qualcosa lo abbiamo imparato. Perdonatevi sempre, comunque siamo ancora qui».

In un’altra omelia il sacerdote invita gli sposi ad essere benedizione per tutti gli uomini e tutte le donne che incontreranno: « Il mondo attende Dio: offrite voi stessi a Lui affinché nei fatti e nelle persone si sveli il significato. Siate umili, caritatevoli, gratuiti nel donarvi».

E la giornalista riprende il concetto del dono ricordando un’esortazione che viene sempre meno spessa ricordata anche dai preti, quella dell’offerta del proprio dolore. «Oggi il dolore è uno scandalo, qualcosa quasi di indegno, non si sa che farne. Ti danno delle pillole, ti dicono di distrarti, “passerà”… Ogni sera, guardandoti dentro, offri, oltre al bene fatto, al lavoro, alla fatica affrontata, anche quel povero cumulo di cenere che ti pesa sul cuore».

Omelia dopo omelia scorrono lungo le pagine del libro le tante virtù che due sposi dovrebbero imparare nella reciprocità di un impegno mai davvero esaustivo.

Don Anas parla di carità, di grazia, di mansuetudine, della capacità di sopportarsi a vicenda. Marina rivela: «Mio marito ed io abbiamo litigato davvero tanto. Soprattutto agli inizi. Anche drammaticamente. Ci hanno tenuto insieme, molto, i figli che abbiamo avuto la grazia di avere. Poi, col tempo, abbiamo imparato a perdonarci. A vedere che l’altro è molto di più del suo difetto. Abbiamo imparato quella tenerezza che viene solo con gli anni e che forse è finalmente amore…».

E poi c’è la capacità di aprirsi agli altri, di non considerarsi mai conclusi, mai arrivati davvero all’interno della coppia, di guardare oltre le pareti di casa con uno sguardo sempre aperto alla comunità, quella civile e quella ecclesiale. Il sacerdote esorta a non scordare mai «la grandezza della vostra attesa», Marina coglie l’occasione per riflettere sul fatto che «un matrimonio apparentemente perfetto può essere una scatola chiusa: noi due, i figli, il nostro volerci bene, e null’altro. Ma quanto altro c’è fuori: l’amicizia, il bisogno, la povertà, tante emergenze umanitarie».

In fondo a queste belle e intense lezioni sull’amore di coppia, grandeggia nella sua umana incomprensibilità, il mistero del “sì”. Quello pronunciato da Maria all’Angelo, quello di Elisabetta che riconosce subito in Maria «la madre del mio Signore». Ma anche, aggiunge Corradi, quello di ogni ragazza e di ogni ragazza davanti all’altare. «Oggi anche di più, perché attorno c’è un mondo che non riconosce un gran valore a quella promessa. Molti si sposano sperando che vada bene. Altrimenti ci si divide».

Ma non c’è una garanzia di lunga durata, un appiglio saldo a cui aggrapparsi? Marina Corradi azzarda una proposta: «L’unica roccia, per quei due ragazzi davanti all’altare, è Cristo. Lui, terzo garante, invisibile e tenace compagno».

Fonte: Avvenire