Tra le motivazioni indicate c’è la difficoltà di «conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole»
Sono state oltre 37mila le lavoratrici madri che hanno presentato le loro dimissioni nel 2019. Lo rileva l’Inl (Ispettorato nazionale del lavoro). Il loro numero – 37.611 – ha rappresentato circa il 73% del totale, percentuale equivalente a quella rilevata l’anno precedente (35.963, pari al 73%). I lavoratori padri interessati alle convalide di dimissioni sono stati 13.947 (a fronte dei 13.488 del 2018), in percentuale (27% del totale) quindi anch’essa invariata rispetto al 2018. Le cifre sono il frutto dell’attività di verifica della reale e spontanea volontà di cessare il rapporto di lavoro manifestata dalla lavoratrice o dal lavoratore al personale dell’Ispettorato. Attività finalizzata proprio a prevenire licenziamenti mascherati da dimissioni volontarie e a contrastare il cosiddetto fenomeno delle “dimissioni in bianco”.
Nei casi riportati c’è quindi il “bollino” dell’Inl che ha convalidato il provvedimento in questione, sentendo i lavoratori, con figli sotto i tre anni, e informandoli sui loro diritti di lavoratrici madri o lavoratori padri. Nelle quasi totalità dei casi si tratta di dimissioni volontarie (49mila). Ciò però non sana la complicazione nel conciliare i tempi di vita con quelli del lavoro. Un problema che ricade sulle donne. E infatti tra le motivazioni indicate c’è proprio la difficoltà di «conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze di cura della prole». Difficoltà registrata in quasi 21mila casi e che matura, stando all’analisi dell’Inl, quando non si hanno nonni e altri parenti a supporto o viene giudicato troppo elevato il costo di asili nido o di baby sitter o, ancora, quando ci si ritrova davanti al mancato accoglimento del figlio presso il nido.