“Prendo in prestito da Papa Francesco una chiave di lettura offerta nella Laudato si’: tutto è connesso. Anche per la denatalità c’è un insieme concatenato di cause. Ci sono sicuramente cause economico-sociali, che possiamo definire esterne, ma cosa ha consentito che nel nostro Paese sorgessero queste cause? Dopo la guerra c’è stata la stagione d’oro del matrimonio e delle nascite, per poi lasciare spazio a fenomeni che hanno condizionato fortemente la natalità”. Lo ha detto mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, intervenuto, insieme a Lorenzo Lattanzi, vicepresidente nazionale dell’Associazione cittadini mediali (Aiart), al seminario di studio “La denatalità in Italia: eziologia e politiche di intervento”, promosso dal Centro di ricerca e studi sulla salute procreativa (Cerissap) della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. Il tema affrontato dal presule e da Lattanzi è stato “Fertilità e sessualità nel vortice mediatico”.

“La realtà mediatica – fiction, pubblicità – ha influenzato molto negativamente la cultura”, ha evidenziato mons. Giuliodori, analizzando i fattori interni alla crisi della natalità. “Dal punto di vista delle dinamiche esistenziali, se la coesione sociale era forte nel dopoguerra, nel tempo ha prevalso una dimensione individualista – ha osservato assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo -. In questi anni c’è stato un radicamento della visione individualista, con lo scomparire di vincoli impegnativi e progettuali. Per cui il matrimonio è stato affiancato da forme che rendono molto leggero il profilo dei legami. Questo ha portato negli ultimi anni a un crollo delle unioni matrimoniali con un numero limitato di unioni civili, ma con molte convivenze. Oggi ci sono legami funzionali all’individuo, che manifestano i propri bisogni affettivi e con reciproca convenienza, ma senza impegno. Questo ha riscontri rilevanti ed è il codice fondamentale della cultura contemporanea”.

“La tv negli anni Sessanta è stato il grande educatore sociale, oggi tv e social non hanno più valenza educativa, ma rappresentativa. Gli strumenti di cui oggi disponiamo puntano ad amplificare questa concezione dell’individuo misura di tutto”.

Oggi “l’input educativo è quello di rafforzare l’io nell’esercizio di libertà, che non assume vincoli e responsabilità. Il legame affettivo viene depotenziato da molti punti di vista, byapassando e cancellando la struttura biologica che dà vita a un quadro antropologico. Oggi si tende sempre più a passare dal dato biologico al proprio sentire emozionale, fino a teorizzare l’autocreazione di identità, plasmandoci uomo e donna a seconda dei nostri desiderata. È un’autocreazione, ma questa destrutturazione dell’umano non comporta automaticamente un’identità sostenibile che è capace di realizzare il desiderio di ciascuno di essere felice e di dare compiutezza alla propria esistenza”. Ma, ha avvertito mons. Giuliodori, “c’è un grande inganno. L’essere umano ha una struttura biologica che si relaziona con un altro. Quindi, in un’antropologia realistica la relazione affettiva è anche generativa. Al contrario, se la declinazione è il soggetto che si relaziona senza limiti nelle esperienze è necessario non fossilizzarsi in una relazione di coppia tradizionale. Queste relazioni di ogni tipo non includono anche la generatività”.

La denatalità è una malattia? “Sicuramente no, ma è malessere non di poco conto – ha affermato mons. Giuliodori -. Prevendendo che non potranno esserci cambiamenti radicali, con questi trend demografici, vedremo scomparire la popolazione italiana come è oggi configurata. Non costituendosi una visione antropologica di complementarità uomo-donna, le altre variabili non possono tener presente il dato generativo. Depotenziata l’identità, il fattore generativo riappare in età avanzata, soprattutto per prospettive esistenziali personali. Qui da qualche anno si è infilata la medicina, per cui c’è la procreazione medicalmente assistita, non come cura di sterilità, infertilità, qui si è sistematizzato il processo della messa in campo della generazione ma che è un business consistente”. Fino ad arrivare all’utero in affitto, ma ormai siamo fuori dalla considerazione del “bene del bambino”.

Fonte: AgenSIR