Sempre meno, anche a livello internazionale, spesso più complicate. Il ministro Bonetti: il nostro sistema regge, ma va migliorato. L’appello dalla conferenza mondiale

Adozione, un percorso a ostacoli che in questi ultimi anni è diventato ancora più complesso e a cui la pandemia ha inferto colpi pesanti. Il numero delle famiglie accoglienti si è quasi dimezzato negli ultimi vent’anni ma è ancora circa dieci volte superiore rispetto al numero di bambini adottabili, almeno per quanto riguarda l’adozione nazionale. Ma si tratta di numeri residuali (come purtroppo quelli dell’adozione internazionale) per una lunga serie di motivi sociali ed economici, ma anche per la mancanza di politiche specifiche e di investimenti coraggiosi.

Una situazione che il ministro della famiglia Elena Bonetti ha però promesso di voler affrontare con un impegno finalmente adeguato al valore sociale di una scelta tanto importante. Nel saluto che ha portato ieri alla Conferenza internazionale sull’adozione, in corso fino a venerdì alla Cattolica di Milano, presenti on line oltre 200 esperti da 27 Paesi, oltre a mettere in luce gli sforzi fatti in questi anni, ha spiegato i motivi del crollo delle adozioni in tutto il mondo – anche se il nostro Paese rimane, dopo gli Stati Uniti, quello che accoglie ancora il maggior numero di bambini – ha fatto notare come una percentuale crescente dei piccoli che arrivano da noi abbiano problemi psico-fisici di varia natura (special need). Poche adozioni internazionali (669 nel 2020, a fronte delle oltre 4mila che si registravano nei primi anni Duemila) non significa però che tutto sia negativo.

Secondo la ministra è da considerare con attenzione il fatto che anche nei Paesi d’origine si tenda «a rendere più sicuri e trasparenti i procedimenti» e a privilegiare «altre forme di accoglienza, come l’affido nel proprio territorio, garantendo così un’accoglienza che non implichi uno sradicamento del minore».

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